Luca Gandolfi

Dottore in Scienze Politiche

Home Diritto d'Autore Contatti Links

Parte Prima
Home Tesi di Laurea Saggio Esami sostenuti

 

Su

LA COMUNICAZIONE POLITICA MASSMEDIALE IN ITALIA:

LE ANALISI FIN QUI SVILUPPATE

 

L'analisi della comunicazione politica attraverso l'uso dei mass-media costituisce un ambito assai vasto di studio, comportando necessariamente una scelta a priori su quello che sarà l'oggetto specifico di analisi. Troppo spesso, però, questa motivazione viene utilizzata per giustificare analisi di breve periodo che ignorano totalmente o parzialmente l'analisi del lungo periodo. E' necessario invece cercare di tenere viva l'attenzione su entrambi i fronti, analizzare cioè gli effetti, le strategie, l'efficacia e la potenza dei media sia nel breve, sia nel lungo periodo.

Bisogna però precisare cosa si deve intendere per "analisi di lungo periodo", perchè altrimenti ci si trova di fronte, come spesso accade, ad enunciati con grandi propositi a riguardo, ma che poi, nei fatti, si risolvono in semplici contestualizzazioni storiche. Non basta la contestualizzazione, bisogna osservare il tipo di azione mediale che viene svolta nel lungo periodo, registrare le diverse strategie adottate e verificarne gli effetti. Certo non si tratta di un lavoro semplice, e sicuramente presenta notevoli difficoltà di realizzazione pratica, soprattutto per ciò che riguarda la verifica degli effetti, ma a me sembra il modo più serio per condurre un'analisi completa.

Un altro punto di notevole importanza che ritengo necessario affrontare in questa introduzione, per poi approfondirlo durante la mia trattazione del tema, riguarda la questione sempre aperta del "potere dei media". Anche in questo caso sarà necessario affrontare il problema da due diversi punti di vista, occorrerà cioè verificare se tale potenza esiste nel lungo e/o nel breve periodo, stabilendo a quali livelli e in quali modi tale potenza agisce.

Prima di addentrarci in quella che è l'analisi della comunicazione politica massmediale in Italia, oggi e nel recente passato, è utile svolgere un resoconto di quelle che sono state le ultime analisi svolte sul tema dagli esperti del settore, limitandosi ovviamente a quelle giunte alla mia conoscenza grazie alla lettura di due testi di riferimento, cercando di evidenziarne pregi e difetti.

 

1 - Presentazione e valutazione critica delle analisi più recenti.

1.1 - Le analisi di Livolsi

Alcuni autori, come Livolsi, cercano di individuare alcune delle circostanze storiche che hanno determinato, o facilitato, i risultati delle elezioni politiche del 27-28 marzo '94. In particolare il suddetto autore contesta gli studiosi che vedono la vittoria di Forza Italia come il risultato di un'abile operazione di marketing politico-elettorale, attribuendo tutto il merito allo strapotere della televisione. Livolsi ricorda "lo spazio politico lasciato libero" dai grandi partiti tradizionali in crisi (DC e PSI); la "vocazione di destra" dell'elettorato italiano; "il vento di conservazione" che attraversa molti paesi europei e gli USA; il rifiuto per i politici dopo la delegittimazione di Tangentopoli. Tutte queste affermazioni sembrano assumere una loro "naturalità", quasi nascessero dal nulla. In realtà queste constatazioni dei fatti, dimenticano di ricercare un rapporto causa-effetto: contestualizzano storicamente, ma non compiono un'approfondita analisi di lungo (o medio) periodo. Se è vero che Tangentopoli ha delegittimato i politici e i partiti tradizionali di governo (coinvolgendone anche alcuni non di governo), ci si deve chiedere come mai questo effetto delegittimante non si sia rivolto anche verso il mondo industriale, che pure è stato dimostrato essere la parte principale, la sorgente della corruzione dei politici. In questo fenomeno un ruolo tutt'altro che secondario lo hanno svolto i media, puntando il dito accusatore contro la classe politica, e nascondendolo quando si trattava di porre nella giusta evidenza le responsabilità del mondo economico e industriale. Così, se è vero che c'era uno spazio politico libero, bisogna analizzare bene come questo è nato, e se è vero che fosse effettivamente "libero", poichè in realtà la Lega si apprestava ad occuparlo. Per quanto riguarda poi "la vocazione di destra" e "il vento di conservazione" sembrano essere più degli slogan emozionali e trascendentali, che delle affermazioni "scientifiche". Approfondirò meglio questi argomenti quando svolgerò la mia analisi nel medio-lungo periodo.

Livolsi è però cosciente che la televisione un ruolo importante, anche se non esclusivo, l'ha svolto, e canalizza la sua attenzione sulla "cultura televisiva egemone" che tende a spettacolarizzare ogni genere, provocando nel pubblico il "sogno del benessere economico", ma anche un appiattimento dei rapporti sociali. La cultura televisiva tende, insomma, a trasformare l'attore sociale in spettatore, a personalizzare e spettacolarizzare la politica in TV, a far scegliere le tematiche di maggiore impatto emozionale riducendole a semplici slogan ripetuti all'infinito. Questa cultura televisiva del presente, tende anche a connotare negativamente chi cerca di riportare la politica a un livello più alto, etichettandolo come "parte del vecchio" e rendendo così inefficace il suo messaggio, e perdente il soggetto politico, individuale o collettivo, che porta avanti tale discorso.

Livolsi vede nel futuro una politica che si svolge nella competizione di due schieramenti "non-ideologici", la cui lotta si attua all'interno della cultura televisiva. La divisione si concentrerebbe "su contenuti valoriali e morali legati al particolare momento storico e sociale"; in particolare "tra chi cercherà, dopo aver raggiunto il benessere economico, di trovare una nuova qualità della vita e un modo diverso di porsi verso il sociale [...] e quanti, non ritenendo ancora conclusa la rincorsa al benessere, riterranno ancora prioritario avere cose, accumulare denaro, seguire le proposte dei media [...] Due schieramenti portati a fare scelte omogenee con le loro convinzioni sociali e culturali". Non posso fare a meno di evidenziare una contraddizione tra quelle che sono le ipotesi del Livolsi, "due schieramenti non-ideologici" e la spiegazione che poi sviluppa, in cui emergono chiaramente due differenti visioni del mondo e due diverse formazioni culturali, cioè due diverse "ideologie".

Nonostante queste contestazioni rivolte a Livolsi, la sua analisi risulta essere una delle migliori, sia sotto il profilo metodologico che di contenuto. Sarà proprio a partire da questa che si svilupperà, nella seconda parte della mia tesina, la mia analisi della comunicazione politica in Italia.

Livolsi tende però a evidenziare "l'efficacia indiretta dei media", a discapito di quella diretta, in particolare rivolge ancora una volta la sua attenzione a circostanze esterne al sistema dei media (la nuova legge n° 515 che pone limiti di spesa per la campagna elettorale; i sondaggi; nuovi modi di fare politica;), riconoscendo ad esso la sola capacità, pur importante, di determinare la cultura e i codici della competizione (spettacolarità, linguaggi, spot brevi e a forte connotazione emotiva e simbolica), fissando i tempi della competizione e le occasioni del dibattito politico. Anche Biorcio individua una componente esterna ai media, il nuovo sistema elettorale maggioritario, che condiziona e determina le caratteristiche che assume la campagna elettorale del '94. Livolsi, pur ricorrendo a cause esterne ai media, si trova comunque costretto ad ammettere che la TV, almeno per ciò che riguarda le elezioni del '94, è diventata l'unico luogo della competizione elettorale. Questa ammissione per cause esterne sembra però voler mascherare, o occultare la possibilità che ciò sia avvenuto a causa della "discesa in campo" del maggior proprietario privato della televisione in Italia, una causa tutt'altro che esterna, in quanto Berlusconi rischia di poter essere considerato la televisione stessa, per lo meno per ciò che riguarda il settore privato, anche in considerazione del fatto che il Cavaliere detiene il controllo quasi totale della pubblicità (si è parlato di circa l'89%), potendo così condizionare anche le emittenti che non possiede direttamente.

Livolsi riesce comunque a individuare, per sommi capi, alcuni degli elementi su cui si basa la comunicazione politica del leader di FI (gli spot in TV; i contenuti simbolici ed emotivi dell'immagine del leader di FI e del suo partito-azienda; risposte adeguate a quelle che erano le speranze e i sogni di molti italiani, anche se irrealizzabili; l'uso strumentale dei sondaggi e di tecniche di marketing elettorale); analisi che viene meglio approfondita e sviscerata in molti suoi aspetti da altri autori, che addirittura si soffermano in dettagliate analisi del programma di FI, o delle tecniche comunicative-televisive utilizzate da Berlusconi nelle varie occasioni in cui è intervenuto direttamente sul piccolo schermo.

 

1.2 - Le analisi centrate sulla stampa

Purtroppo alcune di queste analisi appaiono viziate, come troppo spesso accade, dalle convinzioni politiche, più che da legittime ipotesi di analisi; capita così che autori come Capecchi ricorrano a stratagemmi piuttosto elementari, come la citazione di brani di giornale, per esprimere la propria opinione a riguardo delle strategie mediali di Berlusconi, il tutto mascherato sotto la scusa di rappresentare su un continuum la posizione dei vari quotidiani nazionali a riguardo dei "giudizi su Berlusconi in TV" e sui "giudizi sui programmi TV che hanno ospitato Berlusconi". Entrando nello specifico, la tecnica usata da Capecchi è stata quella di riportare stralci di articoli dai giornali contro Berlusconi (in ordine decrescente per intensità di contrasto: il Manifesto, l'Unità, la Repubblica, la Stampa e il quasi neutrale Corriere della Sera), mentre ha utilizzato il resoconto del contenuto per quelli favorevoli al leader di FI. Risulta quasi più utile studiare la tecnica utilizzata da Capecchi per sembrare neutrale pur essendo di parte, poichè viene spesso adoperata anche come strategia di comunicazione mediale (con i necessari accorgimenti e modifiche), col vantaggio che quest'ultima è meno evidente e quindi può risultare più efficace. L'apparenza di neutralità è fornita dal fatto che vengono analizzati tutti i maggiori quotidiani nazionali, ed è rafforzata dalla loro rappresentazione su un unica tabella; inoltre Capecchi dice di svolgere una analisi sia quantitativa (cosa c'è di più scientifico!?) che qualitativa, astenendosi però dal trarre qualsiasi conclusione (come invece sarebbe normale e legittimo), lasciando al lettore il giudizio finale. Capecchi si nasconde dietro il tecnocraticismo, dietro dati "quasi-scientifici" per far dire ad altri, i giornalisti (che si sa essere di parte), ciò che vorrebbe dire lui. Questa tecnica viene spesso usata dai conduttori (come Funari) o da alcuni ancorman dei TG. Questa critica metodologica, o forse etica, nulla toglie alla preziosità del materiale raccolto da Capecchi, anche se è necessario svolgere un lavoro di rielaborazione e di riorganizzazione delle varie affermazioni citate dai giornali che a un primo impatto appaiono frammentate e disorganizzate.

Viene evidenziato, ancora una volta, il fatto che la televisione è stato il mezzo privilegiato da Berlusconi per inviare messaggi politici, e che essa è divenuta la protagonista di questa campagna elettorale, ma viene anche portata l'attenzione sul fatto che la stampa ha seguito con notevole interesse tutte le sette uscite televisive di Berlusconi, amplificandone così l'effetto, mantenendo vivo l'interesse e l'attenzione verso il leader di Forza Italia, anche se i commenti spesso erano a lui avversi e cercavano di smascherare le tecniche televisive che utilizzava.

"L'attesa" è stata una delle strategie usate da Berlusconi, si è fatto attendere dalla televisione, facendo però parlare di sè i giornali, creando così la tensione adatta per avere la massima attenzione (oltre che il massimo audience) per ogni suo intervento in video. La stampa è stata "preparatrice" e "cassa di risonanza" degli eventi televisivi di Berlusconi. Si è anche parlato di "giornali che guardano la televisione, che parlano di televisione, che parlano della televisione che parla di televisione" (Mosconi e Vignaroli).

Emergono posizioni e giudizi diversi dati dalla stampa su Berlusconi in TV, che complessivamente creano un gran parlare dell'entrata in scena di questo "uomo nuovo della politica", che lo pone al centro del dibattito assieme ai media da lui controllati, oscurando molti dei contendenti, come emerge dai dati riportati da Mancini, in cui appare evidente che il centro ha avuto uno spazio molto scarso sulle emittenti televisive, sia pubbliche che private, nel periodo di pre-campagna (il Polo 46,7%; Progressisti il 39,5%; il Patto per l'Italia il 12,2%).

Capecchi riassume le posizioni dei diversi quotidiani riguardo ai "giudizi su Berlusconi in TV" sintetizzandoli in una tabella, di cui cercherò di riassumere i contenuti, qui di seguito, in modo schematico:

- Il Manifesto:

Berlusconi denota povertà di idee, una scarsissima credibilità dei contenuti e della persona, comunica in modo rigido e attraverso la falsità con linguaggio retorico e toni paternalistici. Vengono giudicati negativamente sia i programmi televisivi che l'hanno ospitato, sia l'uso smodato degli spot elettorali;

- l'Unità:

i contenuti sono espressi in modo scorretto, attraverso l'uso strumentale dei sondaggi e di promesse irrealizzabili (un milione di posti di lavoro), la credibilità risulta essere inesistente anche quando è riferita alla persona per le sue amicizie con Craxi e il suo coinvolgimento nella P2; comunica come una star e tramite slogan preconfezionati, quando è attaccato si rifugia nel vittimismo e nel complotto; viene però considerato pericoloso per la sua furbizia e abilità. L'Unità critica aspramente "i messaggi virtuali" che Berlusconi lancia tramite l'uso di videocassette registrate, e sembra preoccupata della commistione tra politica e televisione;

- la Repubblica:

ribadisce la credibilità nulla e lo accusa di assumersi il ruolo di "salvatore della patria"; viene giudicato un pessimo attore. Repubblica attacca anche l'intero sistema televisivo per la scarsa qualità delle trasmissioni e gli effetti di teledipendenza;

- la Stampa:

ravvisa in Berlusconi "la paura della sinistra", da lui raffigurata come "il male" e contrapposta a lui "il bene"; analizza il suo modo di comunicare e i suoi spot considerandoli una "messinscena" e valutando come nulla la loro credibilità. La Stampa rivolge anche una severa critica ai vari conduttori e giornalisti che hanno ospitato il Cavaliere nelle loro trasmissioni, accusandoli di essere stati troppo concilianti, a volte quasi servili, e spesso banalizzanti.

- Corriere della Sera:

sostiene che Berlusconi non è ancora un grande comunicatore, lo critica per gli scarsi contenuti (l'ossessione per "il pericolo rosso") e la dubbia credibilità. Nonostante l'artificiosità della sua comunicazione, il Corriere riconosce che l'ottimismo senza limiti del Cavaliere può essere contagioso. Esprime giudizi estremamente negativi su tutti i programmi che lo hanno ospitato.

- l'Indipendente:

è uno dei due giornali schierati pro-Berlusconi, in esso al leader viene attribuita una credibilità forte, fondata sul presupposto che egli ha dimostrato di essere "una persona che sa farsi valere"; il suo modo di comunicare è valutato positivamente, sebbene si riconosca che a volte "dice e non dice", "alcune risposte non rispondono"; è ritenuto bravo, abile e sicuro di sè. Tra le trasmissioni che hanno ospitato il leader, solo quella di Costanzo ha una valutazione positiva, nonostante non vi fosse un reale contrasto.

- il Giornale:

di proprietà di Berlusconi, è quello che maggiormente lo sostiene. Qui la credibilità è data per scontata, i contenuti sono pienamente condivisi e si giudica Berlusconi una persona pragmatica e concreta. I conduttori (specialmente Minoli) vengono accusati di non averlo lasciato parlare.

Come si sostiene da più parti, la stampa ha avuto un ruolo di amplificatore degli eventi televisivi, dandone risalto al suo interno, e proponendo una "lettura di parte" come appare evidente dall'analisi di Capecchi. In conseguenza di ciò, si è sostenuto spesso che in realtà la stampa abbia il quasi esclusivo potere di "rafforzare le opinioni esistenti", ma non quello di cambiarle. Tuttavia l'analisi del ruolo della stampa non sarebbe completa se non si ponesse la giusta attenzione su una novità (almeno per l'Italia) emersa negli ultimi anni, e cioè "la rassegna stampa" che molti canali televisivi pongono in coda ai loro TG. In questo spazio vengono letti i principali titoli delle prime pagine dei diversi giornali, citando, a volte, stralci del contenuto. Quando i titoli dei quotidiani riguardano il medesimo avvenimento, nel caso specifico Berlusconi, si viene a creare "un effetto-spot" che risulta ben più efficace dei veri e propri spot elettorali. Come già accennato, la lettura dei quotidiani fatta in questo spazio televisivo è superficiale, i titoli vengono ad assumere il ruolo degli slogan, e la loro continua ripetizione ne rafforza l'efficacia. Il fatto che Berlusconi sia stato sulle prime pagine anche quando non interveniva in televisione, lo ha mantenuto costantemente al centro dell'attenzione, facendolo apparire come il vero protagonista della tornata elettorale, legittimando e rendendo così credibili i continui sondaggi che lo davano vincente. Si è trattato di un'operazione multimediale ben organizzata, sia nel breve, che nel medio periodo, come meglio vedremo nella seconda parte di questa tesina.

 

1.3 - Le analisi centrate su Berlusconi

Come già accennato in precedenza, vi sono alcune analisi che scendono molto nel dettaglio di quello che sono state le strategie, i modi di comunicare e di creare attenzione da parte di Berlusconi. Sono lavori molto interessanti, proprio perchè entrano nello specifico dei singoli eventi televisivi in cui Berlusconi è stato protagonista, anche se presentano il rischio di far perdere di vista la situazione nella sua globalità e quello di dare complessivamente l'impressione di "un'analisi Berlusconi-centrica", rischiando di provocare così lo stesso effetto che è stato poc'anzi attribuito alle rassegne stampa. Se però si ha la consapevolezza dei limiti "naturali" di ogni analisi in dettaglio e, allo stesso tempo, si è attenti a conservare l'attenzione per il quadro generale, allora questi approcci possono risultare estremamente utili, specialmente per gli addetti ai lavori, cioè per coloro che devono preparare le strategie per le campagne elettorali e ai candidati stessi (possibilità economiche permettendo).

Rientrano in questo tipo di analisi quelle svolte sui programmi elettorali da Marsciani e dal gruppo Grandi-Cavicchioli-Franceschetti, e l'indagine semiotica sul primo discorso in televisione di Berlusconi condotta da Deni-Marsciani.

Sia Marsciani, che Grandi-Cavicchioli-Franceschetti effettuano un confronto tra i programmi dei vari partiti da cui sembra emergere la particolarità del programma di Forza Italia. Contrariamente agli altri programmi, infatti, questo si presta a una veloce e immediata consultazione, con una notevole attenzione per una lettura "a colpo d'occhio", a ogni argomento corrisponde una pagina, che viene al suo interno suddiviso con chiarezza sia dalla spaziatura, che dalla numerazione; a fondo pagina vi è uno spazio per le annotazioni che fa pensare ad un uso partecipativo del programma stesso. La grafica è molto ben curata e ordinata. Nel suo insieme da l'impressione di un programma concreto, veloce e fatto per essere consultato.

Il programma del PDS si presenta invece sotto la classica forma di un libro e, anche se ben curato e strutturato, richiede un certo impegno intellettuale per la sua lettura, oltre ovviamente a una certa disponibilità di tempo. Ma, come fa giustamente notare Marsciani, nessuno si aspetta che i programmi vengano realmente letti dagli elettori, la loro funzione principale sembra essere quella di esistere, come strumento di difesa e di legittimazione della propria forza politica nei dibattiti pubblici. Gli unici che si suppone debbano leggerli sono sicuramente i candidati, forse gli avversari, probabilmente i giornalisti politici (in quest'ultimo caso Marsciani esprime seri dubbi, e io mi associo). Un'altra funzione dei programmi sembra essere quella di creare un forte valore identificativo.

Nella sua analisi del programma di FI, Marsciani pone l'attenzione sulla menzione specifica del soggetto individuale Berlusconi, che ponendo la sua firma in calce all'introduzione, sembra garantire personalmente la validità del messaggio. Rimarca, inoltre, l'uso che in esso (come pure in quello dei Progressisti e del Patto per l'Italia) viene fatto della prima persona plurale inclusiva per cercare di identificare il soggetto produttore del messaggio con la massa quasi-indifferenziata degli italiani ("tutti noi italiani che ..."). Questo tipo di strategia precede la specificazione dei temi e delle proposte, e sembra essere un primo segnale verso un consenso plebiscitario presunto. Al contrario, le forze politiche più radicate storicamente privilegiano il "noi" esclusivo, è un modo per puntare di più verso il rafforzamento di un consenso già ottenuto in passato, che all'allargamento a nuovi settori della società; è questo il caso di Rif. Comunista, della Lega e di AN.

Da queste analisi è utile evidenziare una ulteriore conclusione, alla quale gli autori menzionati sopra non danno sufficiente risalto. Il programma di ogni partito è funzionale al tipo di elettorato che si suppone questo abbia o voglia avere, o all'immagine che il partito vuole dare di se. Così si può spiegare l'apparente disordine del programma della Lega, che vuole conservare un'immagine di movimento politico nato dal basso, più legato alla lotta e ai fatti che alle parole. Allo stesso modo si spiega la schematicità del programma di FI, che vuole rappresentare l'efficienza e la pragmaticità di chi proviene dal mondo imprenditoriale e vuole apparire deciso e sicuro nella soluzione dei problemi del paese. E questo discorso si ripete per tutti i gli altri programmi.

Fin qui le analisi su Berlusconi e FI sono state condotte tramite la tecnica del confronto con gli altri schieramenti e partiti. Deni-Marsciani, invece, si addentrano profondamente nell'indagine semiotica del primo discorso di Berlusconi, il famoso "messaggio alla nazione" registrato su cassetta e distribuito alle varie redazioni dei TG in cui il leader "annuncia la sua discesa in campo". L'analisi qui è molto dettagliata e si sofferma anche sulla scelta delle parole effettuata, sulla postura, sull'inquadratura, le luci, l'ambiente, il tono della voce, lo sguardo in camera e tanti altri particolari che sembrano volerci comunicare l'infinita professionalità con cui Berlusconi fa le cose, quasi come se gli altri leader politici, per vincere, dovessero prendere lezioni e imitare il Cavaliere. Sembra, insomma, che il fondatore di FI sia il più abile di tutti nell'uso dei media; sorge però il dubbio che non si tratti solo di abilità (che sicuramente è notevole), ma anche di mancanza di possibilità di contrasto per gli avversari, sia per carenze di strategie adeguate ed efficaci, sia per mancanza del possesso dello strumento principale (i canali televisivi) e per un minor peso economico.

Tornando all'analisi di Deni-Marsciani, essi notano come "l'effetto calza", unito all'ambiente in cui si svolge la scena, uno studio familiare con alle spalle del soggetto una scrivania con i libri in disordine (per far vedere che si usano) e una foto di famiglia, da un'immagine calda e familiare appropriata per il pubblico televisivo.

Per ciò che riguarda il contenuto del suo discorso, Berlusconi inizia annunciando di essersi spogliato dei panni di imprenditore per vestire quelli del politico, si accredita così come "uomo nuovo della politica"; allo stesso tempo chiede che gli sia data fiducia proprio per il suo trascorso professionale che poco prima aveva detto essere un capitolo chiuso della sua esistenza. Giustifica questa sua "discesa in campo" come "una necessità per evitare il pericolo di essere governati dalle sinistre illiberali" e si propone quindi come la necessaria soluzione a tutti i problemi dell'Italia e degli italiani. Come giustamente dicono gli autori: "l'organizzazione figurativa e spaziale della scena è dunque funzionale a effetti di senso di 'continuità-innovazione' [...] l'ambiente domestico seleziona alcuni valori fondamentali [...]: la prossimità del locutore con i suoi interlocutori (è a casa Berlusconi come è a casa chi lo ascolta), i valori della tradizione migliore e più consolidata di un popolo, l'atteggiamento pacato ma determinato di chi seriamente prende una decisione per il bene della sua famiglia e quindi di tutta la nazione."

Nella prima sequenza Berlusconi utilizza la prima persona singolare per dire ciò che è, ciò che ama e ciò che desidera; il tutto attraverso la rappresentazione dell'emotività e l'esplicitazione delle proprie passioni personali: "l'Italia è il paese che amo" e "amo la libertà". Esaltando i valori che "il padre gli ha insegnato", l'amore per il paese e per la famiglia, carica emotivamente la propria persona. Usa inizialmente l'umiltà e la semplicità per conquistare la fiducia e la simpatia dei telespettatori, per poi modificare il suo atteggiamento e sembrare sempre più deciso e sicuro di sè, per mostrare di essere uno abituato a prendere decisioni importanti e compiere scelte difficili. Assume poi un tono quasi ufficiale quando inizia a leggere dei fogli che prende in mano. Gli autori spiegano che questa "è una strategia retorica molto frequente, individuabile nella manipolazione cognitiva: la comunicazione del destinante-manipolatore spinge il destinatario-manipolato ad accettare il contratto proposto che [...] riguarda la condivisione dell'universo assiologico dell'enunciatore e degli enunciati".

Berlusconi, esaltando i valori dell'onestà, della concretezza, dell'efficienza cerca di far apparire concreti dei temi che invece sono generali e astratti. Parla di fatti, proponendoli come delle verità assolute, dei "dogmi", e in questo modo da la sua interpretazione dei fenomeni di corruzione che hanno coinvolto la vecchia classe politica. Invita gli italiani a diffidare di "profeti e salvatori", escludendosi implicitamente da questi (cosa assai dubbia visto che si è presentato come "il salvatore della Patria"), spiegando che sono necessari "uomini con la testa sulle spalle", includendosi implicitamente tra essi.

Berlusconi gioca molto sul contrasto con le sinistre, connotandole come "il male", prive di valori, in opposizione a "noi [...] crediamo nell'individuo, nella famiglia, nell'impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell'efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà". E' da sottolineare che, in questa citazione, Berlusconi nomina anche "la solidarietà", che è sempre stata il punto di forza delle tematiche della sinistra; è un modo per cercare di non escludere la possibilità di catturare qualche elettore anche tra quelli che tradizionalmente votano per questa parte politica.

In alcuni passaggi Berlusconi attribuisce all'elettore una grossa maturità e capacità di giudizio, dalla quale sembra "dover logicamente seguire" il consenso alle proprie proposte, perchè esse sono (presentate come) "le uniche valide e ragionevoli". Berlusconi utilizza "le strategie persuasive di tanti dirigenti, i quali sanno far sentire, a coloro che vorranno seguirli, il vantaggio di far parte a pieno titolo di una forza che milita dalla parte del vero e del giusto, o comunque del meglio."

Notevole è anche l'uso di formule stereotipe, basate più su elementi emotivi che su fatti concreti; è questo il caso dei suoi successi imprenditoriali, che vengono proposti come elementi alla conoscenza di tutti, e dati per scontati. Riesce così a dare un effetto di insieme che può essere quello di un discorso concreto, fatto da un uomo che sa ciò che vuole e come ottenerlo, e questa volta non lo fa per se stesso, ma per il bene di tutti. E' l'apoteosi della retorica e della demagogia, ma questo non toglie niente alla sua efficacia, anzi essa aumenta.

In tutto il discorso è facile, quasi naturale, associare la figura di Berlusconi a quella "del Salvatore" che "scende in campo" (o scende sulla terra con noi comuni mortali) per il bene del suo popolo ("i suoi fedeli"), e come ogni messia che si rispetti non può astenersi dal fare qualche miracolo, così (bontà sua) promette "un milione di posti di lavoro". Promessa che appare irrealizzabile in un momento di forte disoccupazione, ma si sa, i profeti non si basano su ciò che è razionale, bensì sulla fede, in questo caso la fede in Berlusconi e nelle sue capacità.

Lo spazio concesso a questa analisi di Deni-Marsciani è giustificato dal fatto che in essa si possono ritrovare molte delle tecniche comunicative che Berlusconi utilizza in tutte le sue apparizioni video e probabilmente anche nei rapporti interpersonali con gli altri leader, con i suoi alleati e con i suoi collaboratori.

Ciascuna di queste analisi dettagliate aggiunge un tassello al mosaico della strategia politico-elettorale di Berlusconi, anche se necessitano di essere integrate con delle analisi svolte nel lungo periodo in cui si possono ritrovare elementi che rinforzano l'ipotesi secondo cui il vero potere dei media si manifesta proprio nel medio e nel lungo periodo; ipotesi che costituirà l'argomento centrale della mia analisi e sarà argomentata nella seconda parte di questo scritto.

Volli si distacca da questo tipo di analisi del caso specifico, per dedicarsi a un lavoro di più ampio respiro sulle strategie comunicative di Berlusconi.

Questo autore mostra come Berlusconi abbia una strategia di lungo periodo, basata sulla rarità e l'attesa, una scelta di "deflazione mediatica" affiancata a una forte "volontà di controllo" delle condizioni in cui si svolge la sua campagna: il confronto con l'avversario è ridotto al minimo indispensabile e ritardato il più possibile; le interviste e gli interventi televisivi sono fatti con giornalisti rispettosi e in situazioni "controllate". Addirittura il primo intervento avviene con una cassetta registrata, in questo caso (quello analizzato sopra da Deni-Marsciani) il controllo della comunicazione è massimo. In un caso, da Santoro, interviene tramite una telefonata durante la trasmissione, per ribattere alle accuse che gli venivano portate da Scalfari. La strategia di Berlusconi si basa, secondo Volli, sul controllo, l'assenza e la distanza, tre caratteristiche che le fanno attribuire il nome di "strategia monarchica". L'assenza e la distanza sono le condizioni necessarie per fare in modo che ogni partecipazione del soggetto a una trasmissione televisiva sia atteso con ansia da molti e diventi un media-event, o forse sarebbe meglio definirlo un "multi-media-event", per le ragioni già spiegate in precedenza.

Volli evidenzia anche una strategia discorsiva, distinguendo, all'interno di ogni comunicazione, un aspetto di contenuto e uno di relazione, cioè riguardante una comunicazione non-verbale fondata sul tono della voce, l'atteggiamento corporeo, lo spazio fisico, l'abbigliamento e altro ancora. Berlusconi è molto attento a tutti questi aspetti della comunicazione. Facendo ancora riferimento al suo primo discorso, Volli, d'accordo con Dani-Marsciani, sottolinea che gli elettori non sono chiamati a condividere un programma, ma a credere in una persona, un atto di fede.

Berlusconi è anche molto attento all'uso della lingua, come ha più volte dimostrato anche nel suo breve periodo di governo, e sceglie i termini più adatti per creare delle reazioni emotive. Volli a questo proposito parla di "un lessico sentimentale omogeneo a quello delle telenovelas". Il paragone non è forse completamente appropriato, ma rimane il fatto che le parole scelte per descrivere le situazioni, di fatto predispongono già a una determinata scelta di valori sulla questione. Così è, ad esempio, per "il tradimento" di Bossi, per "il ribaltone" del governo, "il complotto" della magistratura e così via.

Volli dice che: "è naturale che questo stile comunicativo, fortemente semplificato, psicologizzato e riferito alla persona del leader, sia giudicato negativamente dalla sinistra, in particolare quella intellettuale. Ma esso è efficace, sia perchè utilizza una dimensione emozionale della leadership che non è affatto limitata [...] a situazioni culturalmente depresse, sia perchè consona efficacemente con i temi della cultura di massa".

Berlusconi attiva "un circuito seduttivo" estremamente efficace, basato sul fatto che, come spiega Volli "l'emittente attua una comunicazione fortemente espressiva, esponendo le sue caratteristiche come valori; egli propone al destinatario un messaggio omogeneo a tali valori, e caratterizzato da una forte visibilità. Il contenuto di tale messaggio è un mondo possibile in cui i valori in questione sono condivisi, praticati, distribuiti."

La strategia comunicativa di Berlusconi si sviluppa, ed è efficace, su tre diversi livelli: 1- livello di strategia generale; 2 - livello dell'enunciazione; 3 - livello della lingua.

Interessante è anche la distinzione operata da Grandi-Cavicchioli-Franceschetti tra il "marketing rivolto al consumatore" operato da Berlusconi, in cui si parte dai bisogni rilevati e si crea un prodotto adeguato a soddisfarli; e il "marketing rivolto al prodotto" adottato dal PDS, in cui il partito decide il programma che ritiene giusto, lasciando poi alle tecniche di marketing pubblicizzarlo e farlo accettare agli elettori. Questa distinzione forse nasconde una differenza di fondo tra questi due schieramenti: lo scopo di Berlusconi è uno solo: la conquista del potere per meglio gestire i propri interessi privati; la sinistra invece sembra indecisa tra il voler fare una vera politica e la necessità, per fare ciò, di dover vincere. La paura della sinistra di usare strumenti che possano compromettere la sua rettitudine e onestà intellettuale, se da un punto di vista etico è un pregio, costituisce però anche un limite alla efficacia della sua azione, intesa come strategia comunicativa massmediale. Inoltre, nel '94, la sinistra sembra indecisa se puntare sull'elettorato mobile, che in quel momento sembra essere di notevole entità, visto lo "spazio libero" lasciato da DC e PSI, o puntare invece sul rafforzamento e consolidamento del suo elettorato tradizionale.

Si può facilmente sostenere che le diverse strategie comunicative, o di marketing elettorale, utilizzate, risultano essere in sintonia con i diversi scopi che i due schieramenti si pongono. E' risultata più efficace quella di Berlusconi. Questo non perchè sia più efficace in assoluto, ma solo perchè è stata attuata con più sistematicità e decisione, tenendo sempre nel debito conto le circostanze storiche a cui forse il marketing rivolto al consumatore meglio si adattava.

Rimane comunque da verificare l'efficacia nel lungo periodo di tale strategia, soprattutto se ad essa non corrispondono i fatti concreti che erano stati promessi, e viene reso visibile a tutti che era solo un modo retorico e demagogico per catturare l'elettorato e, di conseguenza, il potere. Una risposta in tal senso solo il futuro ce la potrà dare. Certo è che Berlusconi ha saputo meglio gestire, con un uso calcolato, il suo comportamento televisivo e multimediale.

 

1.4 - Le analisi sul ruolo della televisione

Sono molti gli autori e, di conseguenza, gli studi condotti che puntano la loro attenzione sul ruolo che ha avuto la televisione nelle elezioni politiche del '94. Possiamo operare una macro-divisione tra chi ha analizzato la televisione come strumento strategico e come produzione di trasmissioni elettorali; e chi, invece, ha evidenziato come la televisione fosse diventata la issue centrale del dibattito politico elettorale.

Nel suo saggio, Siliato analizza sia l'offerta che il consumo delle trasmissioni politiche televisive nel periodo elettorale. L'autore del saggio nota come vi sia stata, rispetto alle precedenti tornate elettorali, una maggiore presenza di trasmissioni dedicate esplicitamente alla politica, affiancate ad altre non-esplicitamente dedicate ad essa, ma ugualmente coinvolte nel dibattito elettorale, senza poi dimenticare i numerosi interventi di conduttori e personaggi dello spettacolo che, all'interno delle loro trasmissioni, hanno lanciato messaggi in favore dei politici, in special modo di Berlusconi. Usando l'espressione di Siliato, si è avuto "un coinvolgimento globale del medium televisivo". L'offerta dei programmi è stata massiccia, sia per il tempo che per la distribuzione dei programmi sulle reti. Dai dati raccolti emerge che tali trasmissioni, pur non ottenendo ascolti record, hanno prodotto buoni ascolti medi, soprattutto se confrontati con quelli di programmi della medesima tipologia nelle precedenti tornate elettorali. Il pubblico che ha seguito queste trasmissioni sembra in sintonia con il normale consumo di TV, ma non con quello che ci si aspetterebbe da trasmissioni politiche. La sua composizione vede una prevalenza di donne (massima nel programma di Fede), di età matura; buoni consumatori sono anche i laureati; pochi invece i giovani al di sotto dei 24 anni. Oltre alla composizione del pubblico, l'analisi di Siliato riguarda il consumo, la permanenza, la fedeltà, l'ascolto e la varianza. Purtroppo egli considera solo i dati che si riferiscono alle trasmissioni esplicitamente politiche, tralasciando gli interventi sporadici degli uomini dello spettacolo e soprattutto i TG, che pure hanno avuto un ruolo fondamentale nel determinare i risultati elettorali.

Emerge comunque un dato interessante, le Tribune politiche trasmesse dalle reti pubbliche, grazie alla corretta pianificazione all'interno del palinsesto, sono riuscite a realizzare la par condicio sia rispetto all'offerta che al consumo.

Siliato ha inoltre utilizzato i dati sulla permanenza come indicatore della capacità del programma e del candidato di trattenere l'attenzione dello spettatore (Fini la permanenza più alta, Orlando la più bassa). Per ciò che riguarda la varianza, molto è dipeso dalla presenza di alcuni candidati o coppie di candidati (il duello Berlusconi-Occhetto è stato l'apice, oltrepassando i 9 milioni di spettatori). Ci vengono forniti molti dati statistici interessanti, ma senza che ne vengano tratte le necessarie conclusioni.

Conclusioni a cui invece giungono Di Fraia-Stefanazzi dopo un'analisi condotta in modo molto discutibile grazie ai risultati ottenuti da un questionario proposto a un campione troppo esiguo (250 persone di Milano, di cui solo 194 sono risultati utilizzabili) per poter aspirare a essere considerato in qualche modo rappresentativo, oltre al fatto che si riferivano alla sola Milano. Nonostante questi limiti evidenti agli stessi autori, che avrebbero reso insicuri e inattendibili i risultati di qualsiasi analisi, Di Fraia e Stefanazzi hanno addirittura posto le loro affermazioni in modo dogmatico, senza esplicitare il minimo dubbio e addirittura rendendo note le % dei loro dati approssimandoli a un decimale dopo la virgola; vista l'esiguità del campione, meglio avrebbero fatto eliminando la virgola e utilizzando solo numeri interi, per evitare di dare ai dati un impressione di esattezza che in realtà non potevano avere. Altrettanto discutibile è stato il voler portare avanti per tutto il saggio la loro ipotesi secondo cui non era vero che si era trattato di una campagna elettorale basata sulla "personalizzazione", (come la maggior parte degli studiosi invece sostiene, grazie anche ad analisi un po' più attendibili della loro), senza definire subito cosa intendessero con tale termine. Una definizione di "personalizzazione" ci viene fornita solo a tre pagine dalla fine, e viene fatto nei seguenti termini "se per personalizzazione della politica si intende tecnicamente il processo secondo cui le qualità personali del candidato divengono contenuto rilevante della proposta politica e [...] elemento centrale della comunicazione elettorale, di personalizzazione si può parlare solo per quanto concerne Berlusconi."

Come già accennato, trovo già abbastanza riprovevole il fatto che la definizione venga data solo alla fine del saggio, inoltre in essa sono ravvisabili altre scorrettezze, come l'uso del termine "tecnicamente" che vuole suggerire come questa sia l'unica definizione possibile di "personalizzazione", mentre questa definizione sembra più che altro finalizzata ad esaltare la figura di Berlusconi piuttosto che portare avanti una analisi seria. Una definizione alternativa, probabilmente più diffusa nel mondo accademico, potrebbe essere quella che attribuisce al termine "personalizzazione della politica" il significato di "attenzione prevalente sui leader piuttosto che sulle issues", cosa che effettivamente è avvenuta e avviene costantemente. Anche se bisogna precisare che la personalizzazione ha riguardato solo i leader dei diversi partiti, lasciando nell'ombra molti candidati a livello locale. Ad avvalorare l'ipotesi della personalizzazione, tra l'altro, anche un dato che gli stessi Di Fraia e Stefanazzi ci forniscono: "relativamente ai comizi, quelli a cui gli intervistati hanno partecipato erano nella stragrande maggioranza dei casi quelli dei leader di partito tenutisi a Milano nell'ultima settimana [...]". Insomma, questi due autori non sembrano neanche in grado di trarre le logiche conclusioni dai dati da loro raccolti, per quanto poco attendibili essi siano. La loro analisi e le loro conclusioni non meritano altro spazio, che verrà invece riservato ad analisi un po' più serie, o almeno meno dogmatiche nelle loro conclusioni.

Mancini e Mazzoleni, nell'introduzione al testo "I media scendono in campo", evidenziano come le elezioni del '94 siano state caratterizzate da una "campagna massmediatizzata", dove il sistema dei media è riuscito a prevalere sul sistema politico per la determinazione dell'agenda, in modo da adeguare la campagna elettorale ai formati televisivi più idonei per ottenere audience e attenzione.

Questa tesi viene portata avanti e sviluppata anche da Marini e dal gruppo Mancini-Marini-Vignaroli. Marini, nel suo saggio, studia l'emergere di nuovi generi e nuovi formati televisivi, di cui vi erano già state delle avvisaglie nella campagna per le elezioni del '92, ma che trovano la loro piena consacrazione in occasione delle politiche del '94. Rispetto alle elezioni del '92 vengono eliminate quasi del tutto le conferenze stampa e ridotte le "trasmissioni di presentazione dei candidati", che, invece, avevano caratterizzato la precedente tornata elettorale. Nei "nuovi generi" un ruolo di primaria importanza spetta alle "rubriche giornalistiche", che pongono anche nuovi problemi per quanto riguarda il ruolo che i giornalisti o i conduttori devono e possono svolgere.

Emergono anche nuovo formati, trasmissioni create ad hoc per le elezioni e per l'informazione politica, che però non si limitano al solo periodo della campagna ufficiale, ma si estendono anche al periodo di "pre-campagna", quando non addirittura a una programmazione che si sviluppa durante tutto l'anno.

Proprio questi nuovi generi e formati creano i problemi maggiori per quanto riguarda la loro regolamentazione, e la legge 515 che avrebbe dovuto risolvere la questione, in realtà ha creato ulteriori problemi, dovuti soprattutto al fatto che essa regolamentava solo il periodo di "campagna ufficiale" (gli ultimi 30 giorni), lasciando un vuoto legislativo per il periodo precedente, che si è così rivelato quello in cui si è maggiormente concentrata sia la produzione televisiva elettorale, sia il maggiore audience per questo genere di trasmissioni.

Mancini-Marini-Vignaroli si soffermano ad analizzare proprio questi due diversi periodi di campagna elettorale: la pre-campagna e la campagna ufficiale.

La "pre-campagna" è stata la vera peculiarità delle elezioni '94. I dati parlano da soli: 14000 ore di trasmissioni dedicate alla politica (escludendo sia i TG che trasmissioni non esplicitamente elettorali) in questo periodo di pre-campagna, a cui devono aggiungersi le circa 8000 ore della campagna ufficiale (il doppio rispetto al '92), per un totale che si avvicina alle 21000 ore. E' un dato che non teme confronti con le precedenti tornate elettorali italiane. Ad esso bisogna aggiungere il fatto che vi è stata anche una buona risposta del pubblico televisivo, sia grazie a una programmazione che ha dedicato spesso la prima serata a trasmissioni politiche (cosa che non era avvenuta nel '92), che alla curiosità stimolata da nuovi partiti e nuovi personaggi.

Dai dati raccolti da Mazzoleni, emerge un calo sia di produzione che di audience nel periodo di "campagna ufficiale", motivato dal fatto che: per quanto riguarda la produzione, la legge 515 ha provocato delle incertezze e delle riorganizzazioni della struttura di alcune trasmissioni già avviate; mentre il calo di audience è stato probabilmente dovuto a un sovraccarico informativo durante il periodo di pre-campagna, che ha saturato il telespettatore. Questo ha avuto la conseguenza che la campagna che ha avuto maggiore efficacia è stata proprio quella priva di regolamentazione, in cui le reti Fininvest hanno sommerso gli italiani di spot di Berlusconi, "spot" che poi sarebbero stati proibiti nel periodo di campagna ufficiale.

L'attenzione del pubblico si è rivolta soprattutto verso "le trasmissioni giornalistiche", disertando, come è tradizionalmente avvenuto anche in tutte le occasioni precedenti, le "tribune elettorali".

Mancini-Marini-Vignaroli, come già Marini, evidenziano il fatto che nel '94 è il sistema dei media a definire l'agenda politica e il modo di esporla. A questo Marini aggiunge che, per la prima volta, hanno prevalso "le policy issues" sulle "political issues", anche se la crescita delle policy issues era una tendenza già in atto, che però, grazie al prevalere delle logiche e dell'agenda dei media su quelle politiche, è riuscita ad ottenere la piena consacrazione. Si è così verificata una accentuazione di caratteristiche già emerse nel '92, come la spettacolarizzazione e la personalizzazione della politica, con una sempre più attenta costruzione dell'immagine dei leader politici.

In accordo con le analisi fin qui svolte sulla televisione e la politica, Mosconi-Vignaroli mettono in rilievo che proprio "la televisione" è stata "il tema centrale del dibattito elettorale".

Una delle cause è stata sicuramente "la discesa in campo" del proprietario delle tre maggiori reti private a diffusione nazionale, che ha costretto tutti a una maggiore attenzione alla issue "televisione" e alla sua eventuale regolamentazione per l'unicità a livello mondiale della situazione che si era così creata. "Berlusconi ha favorito l'attenzione sulla televisione e questa, di rimando, ha chiamato continuamente in causa e caricato di rinnovata attenzione la figura di Berlusconi". Ma Berlusconi non è stata l'unica causa di questo spostamento degli equilibri a favore della televisione, anche la crisi dei partiti tradizionali e del sistema di partiti ad essi legato esalta "ancor più la capacità di comunicazione, promozione, propaganda del linguaggio televisivo, a discapito di un linguaggio politico in crisi e in disuso". Inoltre, il nuovo sistema elettorale maggioritario, concede al mezzo televisivo un ruolo decisivo nella campagna elettorale, anche se gli autori invitano a non sopravvalutare questa causa.

La televisione, come già detto, diviene il tema centrale del dibattito elettorale, ma non sono solo i politici a parlare di televisione, è la stessa "televisione che parla di televisione", a cui fa eco "la stampa che parla di televisione e della televisione che parla di televisione". Quella del '94 è una campagna elettorale multi-mediale in cui il tema "televisione" diventa, come dicono gli stessi autori, "il super-tema", "il tema piglia-tutto", "il macro-tema" e "il meta-tema".

La televisione muta il suo ruolo, si trasforma da "medium" a "messaggio". Un messaggio che, di volta in volta, pone l'attenzione su diversi aspetti del tema "televisione", analizzato come: "potere televisivo", "sistema televisivo", "ruolo della televisione", "regole per la televisione", e "trasmissioni elettorali in TV".

Mancini e Mazzoleni pongono la loro attenzione non solo alla campagna elettorale condotta al livello nazionale, ma anche allo svolgimento a livello locale. In particolare emergono, dalle diverse analisi condotte, alcune osservazioni interessanti che sembrano evidenziare come il sistema televisivo locale ha avuto un ruolo limitato e marginale nel gioco elettorale, schiacciato dalla potente campagna condotta dai media a diffusione nazionale. E' mancata, a livello locale, "la mediatizzazione" della campagna elettorale, che si è invece svolta attraverso strategie di comunicazione diretta basate prevalentemente sulle reti di rapporti interpersonali, con una ridotta personalizzazione del messaggio propagandistico. Tuttavia, come già accennato, il "grande match che si svolgeva sul palcoscenico nazionale" ha oscurato le campagne locali, facendo spesso percepire i candidati locali come semplici rappresentanti dei "leader politici nazionali".

 

1.5 - Osservazioni conclusive

Complessivamente, le analisi fin qui presentate offrono molti elementi utili per una analisi approfondita della comunicazione politica massmediale in Italia, ma difettano per quanto riguarda le analisi di lungo periodo, anche se in alcuni casi c'è uno sforzo in tal senso. Sono necessarie alcune integrazioni, che non si limitino però alle sole elezioni politiche del '94, ma che si estendano nel medio-lungo periodo, dove è possibile ritrovare anche alcune delle cause dei risultati elettorali del '94.

Devo inoltre rilevare una grave mancanza, in tutte le analisi giunte a mia conoscenza si presta attenzione alle numerose e, si fa notare, in molti casi nuove trasmissioni politiche, escludendo però dallo studio i TG e le trasmissioni non esplicitamente elettorali. Questo nonostante alcuni autori siano coscienti della fondamentale importanza che questi generi televisivi hanno avuto, hanno e avranno nel determinare, o se si preferisce "condizionare", i risultati elettorali. Cercherò, nella seconda parte di questo scritto, di colmare questa lacuna, anche se solo in modo approssimativo.

Sarebbe anche interessante sviluppare degli studi psicologici sul pubblico televisivo e sulle risposte di questo alle sollecitazioni e agli stimoli che gli vengono da questo media, soprattutto per quello che riguarda la comunicazione politica. Benché interessante, non posso però essere io a sviluppare questo tipo di approccio; spero comunque che qualcuno accolga questa mia proposta di analisi.

 

Home Su Diritto d'Autore Contatti Links

Luca Gandolfi - Dottore in Scienze Politiche

E-Mail

Cell. 347-22.10.692 - Fax (39) 02-700.371.47

COSTRUZIONE SITI WEB - WEBMASTER

E-Mail

Copyright © 2000 Luca Gandolfi - DOTTORE IN SCIENZE POLITICHE