Luca Gandolfi

Dottore in Scienze Politiche

Home Diritto d'Autore Contatti Links

Capitolo 11
Home Tesi di Laurea Saggio Esami sostenuti

 

Su

 

COME ARRIVARE ALLA DEMOCRAZIA DIRETTA

 

Il modello completo di democrazia diretta è stato analizzato in tutte le sue componenti principali, rimane tuttavia ancora aperta la questione di come realizzarlo. Abbiamo stabilito che grazie alle nuove tecnologie di comunicazione multimediale e interattiva è finalmente diventato possibile attuare la democrazia diretta anche nelle società moderne, nonostante la loro maggiore complessità rispetto a quelle in cui, nell'antichità, essa si era manifestata. Il fatto, però, che la democrazia diretta sia diventata possibile, non ci aiuta a giungere alla sua effettiva realizzazione nella realtà. Molte, infatti, saranno le resistenze che una simile proposta alternativa potrebbe incontrare. Diventa quindi assolutamente indispensabile identificare chi potrebbero essere gli attori individuali, sociali o istituzionali in grado di ostacolare l'affermarsi della democrazia diretta; quali le strategie che potrebbero adottare; infine, quali dovrebbero essere le risposte più idonee da dare per evitare o superare simili resistenze e giungere quindi alla realizzazione del modello di democrazia diretta.

Inevitabilmente si tratta di un discorso ipotetico, fondato su una serie di congetture, che potrebbero anche rivelarsi assai diverse dalla realtà dei fatti, ma che, in ogni modo, è necessario fare per non rischiare di trovarsi completamente impreparati nel momento in cui si vorrà passare dal modello teorico alla realizzazione pratica. Bisognerà trovare la risposta alla questione se sia più idoneo seguire un percorso pacifico impostandolo in più fasi prima di giungere alla realizzazione del modello completo di democrazia diretta, oppure se - ed eventualmente quando - sia necessario intraprendere la strada più drastica di una netta e immediata rivoluzione, magari anche adottando l'uso della forza.

Una volta chiariti tutti questi aspetti, e ribadito quali dovrebbero essere i valori su cui basare tutto il discorso sulla democrazia diretta, il nostro lavoro su un modello alternativo di democrazia - il modello completo di democrazia diretta - potrà considerarsi terminato.

 

11.1 - Le resistenze alla democrazia diretta

La società moderna subisce quotidianamente una serie di cambiamenti, di innovazioni e di riforme; questo potrebbe indurre a ritenere che essa sia abituata e quindi in grado di accettare, senza opporre eccessive resistenze, ogni mutamento che le si propone rispetto alla situazione esistente, soprattutto se si tratta di un cambiamento che promette molti e importanti effetti positivi per la qualità della vita di ciascun cittadino e per la società nel suo insieme. Purtroppo non è così, le società moderne sono spesso restie a compiere dei cambiamenti, soprattutto se questi comportano una drastica alterazione nelle sue strutture di fondo e delle istituzioni ritenute fondamentali. Gli stessi individui - che rappresentano il nucleo elementare di ogni società - fanno spesso una notevole fatica a modificare in modo sostanziale le loro routine quotidiane. Nonostante la loro utilità in determinate situazioni, infatti, le routine possono diventare un problema nel momento in cui si rende necessario un cambiamento. Lanzara individua una serie di limiti e di aspetti negativi delle routine:

"[1][...] contengono immagini semplificate della realtà [...] che a volte precludono la percezione delle specificità [...].

[2] [...] profondamente internalizzate [...] tendono a sfuggire all'attenzione cosciente di chi le usa abitualmente. Diventano "opache", rigide, non discutibili.

[3] Le routine possono allora diventare un problema o addirittura volgersi in trappole mortali quando dobbiamo o vogliamo abbandonarle per inventare nuovi modi d'agire e di pensare [...] in molti casi può essere assai difficile cambiarle."

A cui tenta di dare una spiegazione:

"L'ipotesi di razionalità limitata [...] se può spiegare la necessità delle routine, non spiega del tutto la loro vischiosità - la difficoltà che troviamo nel cambiarle una volta che sono state apprese. [...]

Una spiegazione alternativa della vischiosità delle routine è basata sulla nozione di potere e chiama in causa l'opportunismo o l'interesse "politico" dell'attore alla protezione delle proprie competenze e alla conservazione dello status-quo istituzionale e cognitivo."

Spesso è "il contesto formativo" che dà forma e significato alle routine, ed esso:

"comprende sia una dimensione cognitiva che istituzionale. [...] Ogni routine d'azione rinvia dunque ad un contesto formativo da cui riceve significato [...] comprende anche gli assetti istituzionali nell'ambito dei quali le routine vengono praticate e che altro non sono che sistemi di premesse cognitive e prescrizioni che orientano l'azione. [...] Ogni azione, rinviando ad un quadro istituzionale e cognitivo preesistente, implica sempre e inevitabilmente un'autolimitazione.

[...] a volte esse [le routine] pensano e agiscono in nostra vece, o ci impediscono di pensare ed agire, anche contro la nostra volontà, quando è necessario farlo in modo diverso. Così, oltre a costituire la base della nostra competenza, le routine sono anche all'origine di un tipo particolare di incompetenza - precisamente l'incompetenza a ristrutturare i contesti formativi dell'azione, gli assetti istituzionali e gli schemi cognitivi all'interno dei quali esse vengono formate e praticate. Esse sono dunque fonte di "apprendimento limitato", quel particolare fenomeno che genera barriere alla nostra capacità di correggere errori e di cambiare radicalmente il nostro pattern d'azione quando la situazione lo rende necessario, e che è responsabile, con la razionalità limitata e il conflitto d'interessi, di molti fallimenti e circoli viziosi tipici del comportamento individuale e organizzativo."

Per fortuna, come nota lo stesso Lanzara:

"[...] le routine non sono mai totalmente immodificabili. Al contrario esse subiscono continui processi di revisione e adattamento, [...] ed eventualmente sostituzione."

Tuttavia è molto più facile attuare un processo di revisione e adattamento delle routine, piuttosto che operare una loro drastica sostituzione, perchè i primi vengono diluiti nel tempo e riescono così a passare quasi inosservati a chi li subisce.

Il nostro modello completo di democrazia diretta rappresenta per molti aspetti e in molti ambiti diversi un cambiamento radicale rispetto alla situazione esistente che non possono certamente sperare di passare inosservati: dal punto di vista politico-istituzionale esso prevede l'abolizione della rappresentanza e dei suoi strumenti che fino ad oggi hanno costituito il perno della vita politica nelle democrazie di tutto il mondo, come il Parlamento e i partiti politici; da quello economico esso ristruttura completamente sia l'organizzazione del lavoro che i prìncipi guida dell'azione economica; infine, nel settore dell'educazione e della comunicazione massmediale introduce una serie di innovazioni sostanziali.

Tutta questa serie di drastici cambiamenti non può che creare scompiglio e preoccupazione in un mondo che, bene o male, ha stabilito un suo equilibrio. Qualcuno potrebbe obiettare - legittimamente - che in realtà questo "equilibrio" è all'origine di molte disfunzioni, di molte sperequazioni, di discriminazioni, di sfruttamenti, di ingiustizie sociali quando non addirittura di ingiustizie legalizzate, di danni immensi all'equilibrio dell'ecosistema, di élitismi e di molti altri inconvenienti ancora. In ogni caso, dietro questo supposto "equilibrio" si celano enormi interessi economici, politici, istituzionali, di categoria, e, perchè no, anche religiosi, che verrebbero sicuramente destabilizzati dalla nostra rivoluzione di sistema, se non addirittura danneggiati o eliminati. E' chiaro che chi è oggi parte delle sfere del potere non accetterebbe di buon grado di dover abbandonare il suo ruolo privilegiato e si impegnerebbe con tutte le sue forze per eliminare sul nascere, se e finché ciò gli è possibile, qualsiasi proposta di questo tipo e di questa portata.

In quanto tale, è inevitabile che il nostro modello completo di democrazia diretta darebbe luogo a innumerevoli resistenze in molti ambienti della società moderna. Il nostro agire sociale, politico ed economico è intriso sia di routine che di abitudini - oltre che da enormi interessi economici - difficili da abbandonare; sono queste alcune delle ragioni che possono portare a delle resistenze nei confronti delle proposte innovative, in alcuni casi rivoluzionarie, del nostro modello completo di democrazia diretta, e a cui bisognerà cercare di dare una soluzione.

Il problema diventa allora, prima di tutto, quello di individuare chi viene colpito in modo particolare dalla nostra proposta di democrazia diretta; e come costoro - individui, organizzazioni o istituzioni che siano - potrebbero agire per cercare di stroncare e rendere irrealizzabile il nostro modello con i suoi intenti. In pratica si tratta di individuare gli attori delle resistenze maggiori alla nostra proposta e di capire in anticipo quali strumenti e quali strategie essi potrebbero utilizzare per mantenere lo status-quo.

Per riuscire a dare una risposta a queste domande è però indispensabile fare una premessa cercando di chiarire negli interessi di chi è costruito il nostro modello completo di democrazia diretta; e quali sono gli ambiti in cui agisce come drastica rivoluzione. Solo dopo questa premessa sarà possibile individuare quali sono gli interessi che maggiormente verrebbero disturbati e che quindi, molto probabilmente, reagirebbero con forza e con tutti i loro mezzi a disposizione per cercare di ostacolare la realizzazione della nostra proposta.

Il nostro modello completo di democrazia diretta è costruito in modo tale da garantire la reale applicazione di tutti i prìncipi alla base di questo genere di filosofia politica, in particolare l'effettiva partecipazione attiva alla vita politica - ma anche sociale, culturale ed economica - da parte di tutti i cittadini, pertanto sono proprio costoro - i cittadini comuni - quelli in favore dei quali è stato pensato il nostro modello. Tuttavia non è da escludere che proprio una parte di costoro, almeno in una prima fase, possano opporre delle resistenze all'introduzione del nostro modello; questo potrebbe avvenire per una tendenza, assai diffusa nelle nostre società, che spesso induce gli individui a diffidare delle novità e a preferire la tranquillità dell'esistente, nonostante tutti i suoi difetti ben noti. In parte questo comportamento ci riporta al discorso sviluppato in precedenza attraverso le citazioni dei lavori di Lanzara che evidenziano proprio quanto possa essere difficile mutare drasticamente delle routine ormai consolidate all'interno di un contesto formativo istituzionale e cognitivo stabile. E' chiaro che un modello di democrazia alternativo, come è quello da noi proposto, in cui non ci si limita a pochi cambiamenti istituzionali, ma si ha invece l'ambizione di compiere una drastica rivoluzione nella maggior parte dei settori che compongono le moderne società complesse che porterebbero a cambiare la maggior parte delle routine e dei programmi d'azione di molti cittadini, oltre a mutare il contesto cognitivo, politico-istituzionale, economico, massmediale ed educativo; è chiaro - dicevamo - che una simile rivoluzione totale dello status-quo potrebbe andare incontro a forti resistenze anche da parte di coloro - i cittadini - per cui il modello è stato pensato.

Per cercare di risolvere questo problema, che molto probabilmente si potrebbe presentare, è indispensabile porre la dovuta attenzione a come proporre il nostro modello all'opinione pubblica. In particolare, potrebbe risultare estremamente utile tenere in considerazione quanto ci propone Lanzara come soluzione al problema della difficoltà di cambiare le routine. Egli suggerisce di sviluppare maggiormente quella che chiama "la capacità negativa" (Negative Capability), cioè:

"[...] una capacità di pensare e di agire attraverso contesti [...]. Routine e esperienze conosciute vengono [...] riscoperte [...]. [...] allo stesso tempo esse vengono ricontestualizzate nel corso del processo, arricchendosi di nuovi significati.

Nella loro azione questi attori rivelano di possedere [...] Negative Capability [...] accettano di rendersi vulnerabili agli eventi, facendo della propria vulnerabilità una leva per l'azione. La loro capacità d'azione non viene mutilata [...] dalla improvvisa deviazione dalle routine standard. [...] sono capaci di produrre e di sperimentare nuovi patterns d'azione in condizioni estreme, fortemente anomale. Nella Negative Capability [...] sta [...] un particolare tipo di agire: un agire che [...] nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine, ma che è orientato all'attivazione di contesti e alla generazione di mondi possibili."

Il discorso di Lanzara sulla capacità negativa si riferisce soprattutto alle routine e ai programmi d'azione, ma se utilizziamo proprio quella capacità negativa che egli descrive, possiamo ricontestualizzare tutto all'interno della situazione che si creerebbe nel momento in cui il nostro modello completo di democrazia diretta venisse proposto al giudizio dell'opinione pubblica. Perchè si riducano le resistenze per un certo verso "naturali" ai drastici cambiamenti proposti dal nostro modello è necessario trasporre la capacità negativa in questo nuovo contesto e diffonderla tra i cittadini: essi devono imparare a non temere eccessivamente "il vuoto", e a non entrare nel panico nel momento in cui vengono distrutte le istituzioni che fino a quel momento li hanno guidati e vengono cambiati molti altri aspetti della società in cui si erano abituati a vivere provocando in loro "una perdita di senso e di ordine". Non vi è nulla di tragico in tutto ciò. Essi devono anzi imparare a trarre vantaggio da questa situazione accrescendo la loro capacità di pensare il nuovo, di immaginare nuovi "mondi possibili" senza farsi incatenare e condizionare da quello che fino a quel momento è stato il contesto politico-istituzionale, economico, sociale e culturale in cui hanno vissuto.

"[...] la Negative Capability non è solo disposizione esistenziale all'esperienza dell'incertezza. Essa implica anche una disposizione cognitiva: proprio questo stato di indeterminatezza e di temporanea assenza di direzione permette di prestare attenzione ad aspetti della situazione che la tensione performativa al risultato e alla riduzione d'incertezza o il ritmo inesorabile della routine non permettono di "vedere" e di apprezzare. [...] dà quell'apertura cognitiva necessaria ad esplorare possibilità di senso e d'azione non ancora pensate e praticate. Le deviazioni dalle routine standard e dalle situazioni "normali" [nel nostro caso dal generale status-quo] contengono un potenziale d'innovazione per chi è capace di tollerare la provvisoria assenza di ordine e di direzione."

Se è questo quello che bisogna riuscire a far fare spontaneamente ai cittadini, allora il problema diventa come arrivare a questo risultato. Come si può stimolare l'opinione pubblica affinché essa impari ad utilizzare la Negative Capability aumentando così la propria capacità di immaginare - e quindi accettare - il nuovo, l'alternativo, il rivoluzionario? Trovare una risposta a questa domanda sarà il compito principale che dovrà svolgere chi vuole riuscire nell'impresa di portare a realizzazione il nostro modello completo di democrazia diretta. Forse la soluzione risiede nell'organizzare accuratamente le fasi di sviluppo finalizzate a questo scopo, o forse ciò potrebbe non bastare e porsi quindi il problema dell'opportunità di procedere attraverso un processo tipicamente rivoluzionario e violento, chiedendosi, tuttavia, se e fino a che punto lo si potrebbe considerare legittimo e quindi giustificarlo.

Prima però di analizzare a fondo la questione delle fasi di sviluppo (vedi 11.2.1), risolvendo il problema delle resistenze di coloro - i cittadini comuni - in favore e negli interessi dei quali è stato costruito il modello completo di democrazia diretta, occorre prendere in esame chi ha dei reali motivi per opporsi alla nostra proposta poichè da essa viene effettivamente danneggiato, e quali strumenti ha a disposizione - cioè il come - per intralciare il cammino da compiere per chi vuole andare nella direzione da noi auspicata.

Come abbiamo già accennato in precedenza, è molto probabile che quasi tutti coloro - individui, gruppi, organizzazioni o istituzioni - che attualmente hanno una qualche forma di potere nella società, con l'introduzione del nostro modello completo di democrazia diretta si ritroverebbero a dover rinunciare, in parte o completamente, a questa loro prerogativa. Senza avere la pretesa di essere esaustivi, possiamo individuare tre categorie in cui queste resistenze potrebbero sorgere:

1- gruppi d'interesse e di potere;

2- Stato, istituzioni e burocrazia;

3- le religioni.

Per ognuno di essi ci sforzeremo di individuare le ragioni per cui il nostro modello effettivamente li disturba, analizzando in che modo essi gestiscono attualmente il loro potere e come esso si modificherebbe dopo l'introduzione della democrazia diretta; quali strategie e quali mezzi potrebbero utilizzare per contrastare l'attuazione del nostro modello di democrazia diretta; infine, quali dovrebbero essere le contromisure da adottare per rendere inefficaci queste resistenze.

11.1.1 - Gruppi di interesse e di potere

La scienza della politica ha ampiamente mostrato, in più occasioni, quanto siano stretti i legami tra i gruppi d'interesse o di potere e il mondo della politica nei sistemi democratici rappresentativi, soprattutto per quanto concerne il decision making. In molti casi essi sono riusciti attraverso l'utilizzo di meccanismi di pressione o di corruzione nei confronti di alcuni parlamentari, o addirittura degli stessi partiti politici, ad influenzare in modo sostanziale alcune decisioni politiche o la stesura di alcuni testi di legge secondo i loro interessi.

Con l'introduzione del nostro modello completo di democrazia diretta la situazione cambierebbe drasticamente e i gruppi d'interesse si vedrebbero costretti ad abbandonare il loro attuale modus operandi per ottenere ciò che desiderano. Con la scomparsa dei canali privilegiati attraverso i quali essi hanno operato fino ad ora - i partiti, i rappresentanti del popolo e le loro sedi istituzionali, prima fra tutte il Parlamento - essi si vedrebbero costretti a mutare completamente le loro strategie d'azione. Molto probabilmente sarebbero comunque in grado di riuscire ad ottenere quanto desiderano, ma il fatto stesso di dover cambiar metodo senza avere la certezza che funzioni come quello utilizzato fino ad ora, li indurrebbe ad opporre forti resistenze alle proposte di innovazione nella direzione della democrazia diretta, almeno fino a quando ciò non diventi loro impossibile e controproducente. Infatti, nel momento in cui il modello da noi proposto venisse sostenuto e auspicato da una grossa fetta dell'opinione pubblica, sarebbe per loro controproducente, per una questione d'immmagine, continuare a farvi opposizione. Pertanto, è ipotizzabile che le resistenze alla democrazia diretta da parte dei gruppi d'interesse avverrebbero soprattutto in una prima fase durante la quale essi cercherebbero di limitare al massimo la diffusione delle informazioni che lo riguardano, cercando, allo stesso tempo, di delegittimarlo denigrandone i contenuti e screditando la competenza delle persone che lo sostengono.

Certamente il nostro modello comporterebbe numerosi disagi per la maggior parte dei gruppi di potere e d'interesse oggi presenti, tuttavia alcuni di essi verrebbero colpiti in modo particolare dai drastici cambiamenti che il modello completo introdurrebbe nei vari ambiti che compongono la società; altri invece potrebbero intravedere il miraggio di nuove e favorevoli opportunità se esso non venisse adottato in modo integrale. In entrambi i casi essi cercherebbero di opporsi a questo tipo di cambiamento e lotterebbero per impedire almeno che il nostro modello completo di democrazia diretta venisse adottato in toto.

Quali sono, allora, i gruppi d'interesse che verrebbero maggiormente disturbati, e perchè? Come potrebbero reagire: quali strategie adotterebbero per resistere ed opporsi alle nostre proposte? In che modo sarebbe opportuno comportarsi per rispondere a queste resistenze e renderle inefficaci? Queste sono le questioni a cui bisogna dare una risposta, consapevoli dei limiti di un'analisi del possibile e non di una realtà empirica, comunque utile per non farsi trovare completamente impreparati nel momento in cui ci si dovesse iniziare a muovere per ottenere la realizzazione del nostro modello.

I gruppi economico-imprenditoriali potrebbero avere dei disagi dall'applicazione del nostro modello, sia per il mutato assetto politico-istituzionale che - come dicevamo in precedenza - modificherebbe inevitabilmente il rapporto fino ad ora privilegiato di alcuni grandi imprenditori o gruppi finanziari con il decision making della politica; sia per la nuova organizzazione del lavoro, col mutamento dei tempi e dei ritmi ai quali il mondo industriale sembra voler resistere; che per la struttura di proprietà delle imprese stesse e la sua estensione a tutti i lavoratori. Tutte queste innovazioni incontrano delle resistenze nel mondo industriale, come pure in quello della grande economia e della grande finanza, che non accettano di buon grado il fatto di dover abbandonare i loro canali privilegiati e sommersi per influenzare la politica e rassegnarsi così a dover utilizzare lo strumento del referendum attraverso tutte le fasi del processo decisionale, col rischio di non vedere realizzati i loro desideri e interessi economici. Come se non bastasse, il nostro modello vuole stimolare - sebbene senza imporla - una diffusione della proprietà dei mezzi di produzione e necessariamente anche del rischio economico, una scelta, questa, che sicuramente si scontra con gli interessi economici del mondo imprenditoriale e che creerebbe quindi numerevoli resistenze. Tutto sommato, nonostante le opposizioni che fino ad ora sono emerse, la riduzione dell'orario di lavoro e la riorganizzazione in una serie di turni lavorativi sembra essere la proposta più accettabile agli occhi del mondo economico di oggi, soprattutto se si tengono in considerazione le misure individuate da Aznar per tutelare tutti gli interessi in gioco.

Una categoria particolarmente colpita dal nostro modello è quella dei gruppi che hanno grossi interessi nel mondo della comunicazione di massa, soprattutto se con una eccessiva presenza nella proprietà di più mezzi di comunicazione. L'avversione del nostro modello per ogni forma di concentrazione della proprietà nelle mani di pochi individui, soprattutto se si tratta di un campo così delicato e importante come quello della comunicazione massmediale non può che preoccupare tutti gli attuali grossi gruppi economici nelle cui mani si concentra la proprietà dei più importanti canali televisivi oltre a quella di altre forme di comunicazione massmediale. I gruppi multimediali non potrebbero più esistere nel nostro sistema, come pure sarebbe impossibile una concentrazione della proprietà che possa dar luogo a qualsiasi genere di monopolio o oligopolio.

Infine, a far compagnia ai grossi gruppi economici e finanziari nazionali, avremmo anche le grandi multinazionali che, ai timori e ai disagi di questi, aggiungerebbero la preoccupazione che una simile rivoluzione si estenda sempre di più sul nostro pianeta, provocando un totale ribaltamento delle regole che fino ad oggi hanno permesso loro di agire. L'ampiezza e la vastità degli interessi economici che ogni multinazionale ha in gioco, le stimolerebbe a tentare con ogni mezzo, lecito e meno lecito, di frenare l'avanzata della nostra proposta politica. E' noto come le grandi multinazionali, al fine di gestire al meglio i loro interessi e i loro affari, preferiscano i paesi in cui il potere è posto sotto il controllo di un ristretto numero di persone. Dal loro punto di vista sono preferibili i regimi autoritari e dittatoriali, ma è chiaro che hanno imparato a convivere e ad accettare anche le democrazie rappresentative, proprio per la possibilità che viene loro concessa - in modo non formale, si intende - di avere a disposizione una serie di canali attraverso i quali fare pressione per ottenere quello che a loro interessa, riuscendo, in altre parole, a scavalcare la democrazia. Un sistema come il nostro, invece, in cui le decisioni non vengono più prese dai rappresentanti del popolo e in cui, al contrario, esse spettano direttamente ai cittadini, rende assai più arduo perpetrare i tentativi di corruzione o pressione. In esso vengono altresì ridotte al minimo le possibilità di condizionamento sia culturale, che massmediale ed educativo. Le grandi multinazionali, molto probabilmente si renderebbero subito conto dei rischi enormi che tutto ciò comporterebbe per i loro affari e cercherebbero, assieme agli altri gruppi d'interesse e di potere che sembrerebbero venire danneggiati dal nostro modello, di prendere le contromisure necessarie per opporre delle forti resistenze alla sua attuazione.

Il problema diventa a questo punto cercare di capire quali strategie d'azione essi potrebbero utilizzare per frenare fin dall'inizio l'ascesa del nostro modello. La più probabile sembrerebbe essere quella di una campagna denigratoria svolta attraverso i massmedia - magari con l'appoggio dello Stato -, nel tentativo di rendere il meno attraente possibile la nostra proposta, etichettandola come "irrealizzabile", se non addirittura criminalizzandola. Essi hanno inoltre la capacità di limitare la possibilità d'azione di qualsiasi movimento politico nascente attraverso tutta una serie di sistemi di potere che avvolgono l'intera società: le multinazionali, come pure qualsiasi altro gruppo di potere o d'interesse a livello nazionale o anche locale, hanno sviluppato nel corso dei decenni una rete di contatti, conoscenze, amicizie e rapporti tali che diventa assai difficile spazzare via in breve tempo e costituiscono una ulteriore risorsa in ogni genere di situazione critica. Questa rete di contatti può diventare un muro invalicabile se il messaggio rivoluzionario non giunge ai suoi destinatari: i cittadini. Le grandi rivoluzioni, si sa, nascono dalla diffusione di idee e valori alternativi, il problema sembra ruotare allora - almeno in una prima fase - tutto attorno al mondo della comunicazione di massa e dell'informazione; è lì che si svolgerà la prima grande battaglia. Inizialmente i gruppi d'interesse si troveranno in una posizione privilegiata poichè tra di essi vi sono anche gli attuali proprietari dei massmedia; tuttavia, se si riuscisse a svolgere una operazione di diffusione capillare d'informazione sulla nostra proposta, magari individuando dei canali alternativi di comunicazione di massa, gran parte dell'opinione pubblica potrebbe riconoscere l'utilità della democrazia diretta e schierarsi in suo favore, creando in questo modo una forte pressione sul sistema attuale, di cui i gruppi economici, imprenditoriali, massmediali e multinazionali, sono parte integrante.

Per cercare di rendere inefficaci gli attacchi dei vari gruppi d'interesse di potere diventa quindi necessario organizzare con cura le fasi di sviluppo (vedi 11.2.1) del nostro modello, ponendo una particolare cura alla preparazione della fase informativa perchè essa risulti il più possibile completa e corretta, ma allo stesso tempo sia anche in grado di superare tutte le resistenze poste dai gruppi d'interesse e di potere.

11.1.2 - Stato, istituzioni e burocrazia

I gruppi d'interesse e di potere non sono gli unici che probabilmente potrebbero creare delle resistenze alla democrazia diretta, anche lo Stato con le sue istituzioni e la pubblica amministrazione si sentirebbero più a loro agio mantenendo lo status quo. In realtà non sono le istituzioni e lo Stato in sé a opporsi alla democrazia diretta, ma chi ne fa parte, cioè quella categoria di persone che ricoprono le cariche istituzionali più significative e tutti i rappresentanti del popolo che con l'introduzione di un sistema integralmente strutturato sulla democrazia diretta vedrebbero scomparire la carica che ricoprono. All'interno di questo sistema possiamo ricomprendere gli stessi partiti politici, che certamente non accetterebbero di buon grado il fatto di veder scomparire tutta la loro organizzazione e quindi, come immediata conseguenza, tutto il loro potere. A dire il vero i partiti potrebbero tranquillamente venire compresi anche all'interno delle prime due categorie che abbiamo analizzato in precedenza, poiché li si potrebbe considerare sia come gruppi di interesse, vista la loro gestione, diretta o indiretta, di numerose attività economiche; sia come gruppi di potere, poiché è attraverso di essi che viene gestito il potere - politico e non - in molti stati. Tuttavia abbiamo preferito ricomprenderli nell'ambito della categoria Stato e istituzioni per attribuirgli quella dignità che meritano in considerazione del loro riconoscimento e della loro presenza in molte carte Costituzionali. E' chiaro, comunque, che inserirli in questa parte della trattazione non esclude assolutamente il fatto che essi siano al tempo stesso anche dei gruppi d'interesse e di potere, oltre che, naturalmente, uno strumento da controllare da parte di altri gruppi d'interesse e di potere.

Fatta questa doverosa precisazione passiamo ad analizzare più nel dettaglio il perchè lo Stato, le istituzioni e la pubblica amministrazione verrebbero disturbate dal nostro modello di democrazia diretta; quali strategie potrebbero utilizzare per creare delle resistenze alla sua introduzione; e quali sarebbero le risposte più idonee da opporre a queste resistenze.

Se è vero che ogni Stato democratico dovrebbe prima di tutto agire in esecuzione della volontà del popolo sovrano, è altrettanto vero che esso, con tutti gli strumenti a sua disposizione, può anche condizionare in parte questa volontà, o almeno può tentare di stroncare sul nascere la propagazione di alcune idee altamente rivoluzionarie e alternative da snaturare la sua stessa essenza. Esiste tuttavia il dilemma di quale sia il limite in cui un'idea cessa di far parte del normale dibattito democratico e pluralista e diviene a tal punto rivoluzionaria da perdere la legittimità di essere diffusa. A nostro parere questo limite esiste solo nel momento in cui venissero messi in discussione i principi democratici, ma non certamente quelli rappresentativi. Tuttavia è chiaro che i partiti politici, i parlamentari e chi occupa le cariche istituzionali non vede certamente di buon occhio una proposta che determinerebbe l'annullamento di tutte queste istituzioni, sia per evidenti interessi personali nel mantenere viva la possibilità di ricoprire quella o altre cariche in futuro; sia per una forma mentis che li induce a ritenere che la rappresentanza con tutte le sue istituzioni sia l'unica forma di democrazia possibile. Almeno sulla questione della rappresentanza democratica e sui suoi strumenti sembra esserci oggi un totale accordo tra i partiti, risulterà quindi assai difficile affermare nel dibattito politico una questione come quella qui proposta che metta in discussione tutto lo status quo. Vi è una "naturale" predisposizione nei parlamentari a rifiutare qualsiasi proposta che possa determinare un drastico cambiamento dello status quo, almeno fino a quando questa non ha un grosso seguito tra i cittadini. Se e quando le nostre proposte otterranno il consenso di una vasta porzione della popolazione, i partiti e i parlamentari saranno capaci di voltafaccia completi - lo hanno già dimostrato in passato - senza la minima paura di sembrare incoerenti.

Dal nostro punto di vista, il problema maggiore sarà allora quello di riuscire, nonostante le resistenze iniziali, a diffondere la conoscenza della nostra proposta per raccogliere un consenso esteso e creare quindi la pressione sufficiente per farla accettare anche a chi oggi vive all'interno dello Stato e delle sue istituzioni e difficilmente rinuncerebbe a tutta quella serie di privilegi - alcuni legittimi e giustificati, altri meno - che occupare quella posizione comporta. E' assolutamente normale e comprensibile che nessuna istituzione, come pure nessuno dei suoi membri, ami pensare di non dover più sussistere. I parlamentari possono continuare a essere tali solo se continua ad esistere il Parlamento e un sistema politico basato sulla rappresentanza; la storia recente ha già dimostrato quanto possa essere difficile per questa categoria accettare una riduzione del numero dei suoi membri, figuriamoci se essi potrebbero autonomamente essere gli artefici di una riforma che ne determinerebbe la scomparsa. Il prestigio sociale e la tranquillità economica, oltre alla sensazione di potere che spesso deriva anche dalla semplice carica parlamentare sono uno stimolo individuale a rifiutare una riforma che ne determini la cancellazione. Bisogna inoltre tenere presente che la maggioranza dei parlamentari hanno sviluppato nel corso della loro formazione culturale e professionale la profonda convinzione che la rappresentanza sia l'unica forma possibile di democrazia per la complessità delle società moderne, una convinzione che trascende i semplici interessi personali e le relative convenienze economiche. Difficile quindi ipotizzare di cambiare le cose semplicemente convincendo chi oggi detiene il potere politico e gestisce il sistema-Stato; troppi i suoi interessi in gioco e troppe anche le convinzioni profonde in favore della rappresentanza democratica. Prima di passare ad affrontare il discorso di come cercare di diffondere il nostro modello, dobbiamo però porci il problema di capire quali potrebbero essere gli strumenti - leciti e meno leciti - nelle mani dello Stato e delle sue istituzioni per opporre delle forti resistenze alla propagazione e all'attuazione del modello completo di democrazia diretta.

Per risolvere questa questione giungono in nostro aiuto gli studi condotti dalla scienza della politica e dalla sociologia politica nel corso degli anni per analizzare le reazioni che gli Stati hanno avuto nei confronti di molti movimenti politici che si ponevano in opposizione al sistema-Stato esistente, intenzionati a mutarlo profondamente con le loro proposte alternative. Le risposte e le strategie che lo Stato ha già utilizzato in passato e che quindi potrebbe adoperare anche nei confronti della nostra proposta potrebbero essere le seguenti:

1 - continuare a ignorarla:

consiste nel far finta che una simile proposta non esista nel dibattito pubblico, un modo come un altro per negarle la legittimità. Tuttavia è una strategia che potrebbe essere attuabile solo in una fase iniziale e che dovrebbe inevitabilmente venire abbandonata nel momento in cui la proposta entra a far parte del dibattito dell'opinione pubblica. La contromisura da intraprendere nei suoi confronti consiste proprio nel trovare il canale informativo idoneo - anche più di uno - per scavalcare l'ostracismo istituzionale e diffondere le idee alla base della nostra proposta e impedire quindi che essa venga totalmente ignorata.

2 - Screditare la proposta attraverso:

a - una marginalizzazione della questione:

nel momento in cui alle istituzioni e allo Stato fosse impossibile ignorare la proposta, la si potrebbe inserire nel dibattito pubblico cercando tuttavia di marginalizzarla sminuendone così l'importanza e trattandola come un'idea un po' eccentrica ma senza una reale possibilità di realizzazione pratica. Le si attribuirebbe così il diritto di essere parte del dibattito democratico, cercando però di toglierle il peso che meriterebbe al suo interno. In questo modo si eviterebbero le accuse di censura e si tenterebbe di eliminare la proposta senza inutili clamori. Bisogna evitare che una simile strategia possa venire messa in atto cercando di creare un certo interesse nell'opinione pubblica e, allo stesso tempo, fornendogli un'informazione, la più completa possibile, sulle caratteristiche e sui vantaggi del nostro modello completo di democrazia diretta.

b - un attacco massiccio da tutti i massmedia:

è una strategia che riguarda una fase successiva, cioè il momento in cui la nostra proposta trovasse un certo consenso nella popolazione e fosse quindi impossibile sia ignorarla totalmente che marginalizzarla. Quella di un attacco massiccio dai massmedia è comunque una strategia a volte assai rischiosa per le istituzioni poichè potrebbe dare la sensazione di una loro profonda paura e inquietudine nei confronti di una simile proposta, una specie di "spirito di corpo" e di "blocco" che potrebbe determinare anche un effetto contrario a quello desiderato. L'effetto finale di questa strategia di resistenza da parte delle istituzioni al cambiamento dipende molto dalle contromisure prese nei suoi confronti. Se, infatti, si costruisce un ambiente concettuale tale da mostrare la nostra proposta come radicalmente alternativa all'esistente, innovatrice, moderna ed estremamente efficace per riuscire finalmente a far valere la volontà dei cittadini; accusando contemporaneamente il sistema-Stato rappresentativo di "inutili resistenze al progresso", di "conservatorismo", di "difesa di interessi privati" e di altro ancora, circondandolo, insomma, di connotazioni negative, ogni sua manifestazione in senso contrario alla nostra proposta verrebbe letta in chiave negativa, come una manifestazione di arretratezza e di conservatorismo. L'eventuale massiccia campagna contraria condotta attraverso i massmedia darebbe l'idea di quanto possa dare fastidio il nostro modello a chi gestisce il potere nelle democrazie rappresentative, attribuendole indirettamente una notevole importanza. Ciascun cittadino, anche il meno interessato alla politica, potrebbe essere portato a chiedersi quale sia la ragione di così tanto clamore e accanimento nei confronti di una proposta e iniziare a dubitare che la classe politica rappresentativa sia stata colpita nei suoi interessi più cari, quelli privati. Se le contromisure necessarie a questa strategia dello Stato venissero prese in tempo, ci sarebbe quasi da augurarsi che essa fosse messa in atto, poichè potrebbe facilitare molto il compito di affermare il nostro modello all'attenzione dell'opinione pubblica.

3 - Screditare coloro che la propongono per cercare di sminuirne l'importanza:

è probabilmente uno dei primi "colpi bassi" che potrebbero venire fatti nei confronti di una proposta alternativa come la nostra: colpire cioè, invece che le idee, i suoi principali sostenitori, coloro che potrebbero assumere il ruolo di guida del movimento politico designato ad affermare la proposta politica del modello di democrazia diretta o i suoi ideologi e creatori. Si tratta di una tecnica assai scorretta, ma molto in uso nei dibattiti pubblici tra politici, pertanto il suo utilizzo non costituirebbe una sorpresa, benché abbia tutto il nostro disprezzo perchè costituisce un modo indecente di abbassare notevolmente la qualità del dibattito, quando non lo elimina del tutto. Il metodo migliore per rispondere a questa tecnica - sempre che ne venga offerta l'opportunità e lo spazio sufficiente sui media - consiste da un lato nel sottolinearne l'utilizzo, e secondariamente nel non soffermarsi troppo nel controbatterle, ma anzi cercare di riportare il discorso sul tema più importante, cioè sulle caratteristiche e sui pregi - ovviamente anche sugli eventuali difetti - del nostro modello completo di democrazia diretta.

4 - Accuse e attribuzione della responsabilità di atti terroristici:

si tratterebbe di una strategia simile a quella attuata in Italia negli anni '70 che ha assunto il nome di "strategia della tensione". Lo Stato, servendosi delle sue strutture, potrebbe provocare una serie di attentati o di atti terroristici che colpirebbero prevalentemente persone innocenti provocando così il disprezzo dell'opinione pubblica, facendo ricadere la responsabilità sui "rivoluzionari" - cioè i sostenitori della democrazia diretta - desiderosi di affermare le loro proposte "irrealizzabili ed eccentriche". L'utilizzo di uno strumento così cruento che toglierebbe la vita a un certo numero di cittadini innocenti o a bersagli mirati, tali da far credere che i mandanti e gli esecutori siano i membri dei movimenti in favore del nostro modello, è una responsabilità che per fortuna non tutti i governi o gli ambienti di potere si sentono di assumere, sia per convinzioni etico-morali che per un forte rischio che qualora emerga la verità e le reali responsabilità di tali atti terroristici gli effetti potrebbero ritorcersi contro i sostenitori dello status quo in modo drammatico. Le contromisure da adottare in questi casi sono: da un lato, quella di tenere sotto controllo l'operato dei servizi segreti o di squadre speciali in grado di attuare queste misure estreme di resistenza contro proposte alternative al sistema esistente, per cercare di smascherare, magari prima che avvengano, simili azioni; dall'altro, una volta che questi atti terroristici di Stato venissero commessi cercare di individuare subito i responsabili reali senza dare modo al potere costituito di attribuire ad altri simili colpe.

5 - Repressione violenta dei movimenti politici in favore della democrazia diretta:

una simile reazione dello Stato potrebbe venire giustificata con l'attuazione del punto precedente (4), cioè dell'attribuzione a questi movimenti della responsabilità di atti terroristici commessi in realtà dallo stesso Stato o da alcune sue componenti. Prima di trascendere e di rispondere alla violenza con la violenza - scelta che non sarebbe saggia, poichè da questo punto di vista lo Stato dispone di una forza senza pari e aspetta solo l'occasione giusta per poter avere la scusa che lo legittima ad utilizzarla a pieno - si potrebbe cercare di sfruttare l'occasione a nostro favore, dimostrando chi è stato all'origine di scontri violenti, organizzando sempre un sistema di registrazione video di ogni manifestazione di piazza, o comunque pubblica, in cui potrebbero verificarsi incidenti con le forze dell'ordine. Anche in questo caso se emergessero le responsabilità delle forze di polizia o di tutela dell'ordine pubblico nell'originare scontri violenti con la folla di manifestanti o di repressione violenta di manifestazioni pacifiche, gli effetti andrebbero inevitabilmente a favore di chi ha subito l'ingiustizia, cioè i sostenitori della democrazia diretta.

6 - Tentare di coinvolgere i movimenti che sostengono la democrazia diretta nel sistema rappresentativo esistente attraverso alcune concessioni:

si tratta di una strategia pacifica, che spera, concedendo l'attuazione di alcune parti delle proposte presenti nel nostro modello completo di democrazia diretta e, contemporaneamente, cercando di inserire le forze rivoluzionarie all'interno del sistema esistente, di spegnerle piano piano. Si può anche entrare a far parte temporaneamente del sistema che si mira a cambiare, purché si mantengano ben chiari quali sono gli obiettivi finali da raggiungere e senza scendere a compromessi che potrebbero drasticamente mutare la natura e gli equilibri delicati del modello completo di democrazia diretta qui ideato e costruito. Se però si percepisce che il rischio che il sistema rappresentativo esistente riesca nel suo intento di inglobare prima, e di mutare poi l'azione del movimento, allora sarà opportuno rimanere al di fuori delle istituzioni, entrandovi solo in un secondo e decisivo momento, quando cioè si sarà raggiunta un popolarità tale da assicurarsi la vittoria alle elezioni politiche con i numeri sufficienti per cambiare le cose. Un primo obiettivo che comunque il movimento deve porsi - come vedremo meglio tra breve (11.2.1) - è quello di ottenere in tutti gli Stati in cui vuole affermarsi la presenza del referendum propositivo.

Queste strategie di resistenza e di opposizione sembrano tutte perdere gran parte della loro efficacia nel momento in cui le nuove idee alternative allo status quo raccolte all'interno del nostro modello completo di democrazia diretta divenissero di dominio pubblico stimolando così l'interesse dei cittadini e creando, come conseguenza, delle forti pressioni da parte dell'opinione pubblica perchè, quanto meno, si approfondisca l'argomento in modo corretto e serio. Il problema è allora il come riuscire nell'arduo compito di demolire il muro che lo Stato e le istituzioni potrebbero ergere nel tentativo di impedire che la proposta di un sistema democratico alternativo all'attuale giunga ai cittadini.

Prima però di tentare di risolvere la questione del come (vedi 11.2), occorre completare l'analisi di chi, all'interno del sistema-Stato potrebbe in un qualche modo non gradire i cambiamenti che il nostro modello comporterebbe. Il pensiero viene subito rivolto alla Pubblica Amministrazione e ai funzionari che vi lavorano. E' risaputo - esistono molte analisi che lo confermano - che il personale che lavora nella burocrazia pubblica sia spesso molto restio ad accettare e ad adattarsi a ogni tipo di cambiamento, sia per una forma mentis troppo rigida, schematica e incapace di mutare le proprie routine, sia, in alcuni casi, per uno spirito di corpo che li induce ad essere solidali e opporsi ad ogni genere di mutamento che potrebbe in qualche modo ledere i loro interessi di categoria. Essi sono spesso privi di quella che Lanzara aveva definito come "la capacità negativa", cioè la capacità di riadattare le proprie routine a nuove situazioni o a nuovi contesti, "la capacità di pensare il nuovo".

Questa tendenza a rifiutare i cambiamenti si è spesso tramutata nel boicottaggio vero e proprio al momento dell'implementazione di alcune decisioni prese ai livelli superiori. Se quindi sarebbe per loro difficile opporre resistenze nelle prime fasi di affermazione del nostro modello, in un secondo momento potrebbero, invece, essere in grado di rendere inefficaci alcune delle decisioni prese, attribuendo le responsabilità delle inefficienze al modello di democrazia diretta. Per quale ragione i funzionari pubblici dovrebbero opporsi al modello di democrazia diretta? Se da un lato il nostro modello cerca di rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione nel suo insieme, dall'altro rende più difficile e insicura la vita professionale del funzionario: non più la garanzia di un posto sicuro per tutta la vita una volta entrato a far parte del settore pubblico, poichè egli sarebbe periodicamente obbligato a frequentare corsi di aggiornamento e a sottoporsi a esami di idoneità e competenza fallendo i quali perderebbe automaticamente l'impiego; non più privilegi e trattamenti speciali rispetto ai privati, ma parità di trattamento tra lavoratori del settore privato e pubblico. La maggiore efficienza del sistema, insomma, potrebbe costare assai cara agli interessi personali dei singoli funzionari che, preoccupati per questa loro sorte incerta, potrebbero tentare di ribellarsi e opporre resistenza attraverso una serie di ritardi nell'implementazione delle scelte compiute dai cittadini, ponendo dei seri dubbi sull'efficienza del nuovo sistema. Tuttavia, se analizziamo più a fondo il problema dei funzionari pubblici e del loro possibile rischio di disoccupazione e lo inseriamo nel contesto globale che si verrà a creare con l'applicazione del nostro modello completo di democrazia diretta, scopriamo che essi comunque non dovrebbero avere grosse difficoltà a trovare in breve tempo un altro posto di lavoro, poichè la nuova organizzazione del lavoro prevista al suo interno comporterebbe una quasi costante posizione del sistema al livello del pieno impiego. Si tratta quindi, a ben vedere, solo di un problema apparente o, al massimo, limitato ad un arco di tempo assai breve.

Per evitare, quindi, le resistenze dei funzionari pubblici, e della Pubblica Amministrazione in generale, sarebbe di estrema utilità far prendere coscienza ad essi delle nuove ed immense opportunità - lavorative e non - che il nostro modello offre. Per coloro che, nonostante ciò, continuassero ad avere un atteggiamento contrario ai cambiamenti avvenuti, rallentando ingiustificatamente il loro operato, e quindi anche tutto quello della Pubblica Amministrazione, dovrebbero essere applicate severe sanzioni. Si stimolerebbe così ogni funzionario pubblico a fare rapidamente e al meglio il suo dovere, rammentandogli anche che il suo compito consiste nel porsi al servizio della società e non il contrario; cercando inoltre di evitare, con una legislazione appropriata, che si crei quel fastidioso spirito di corpo.

Fin qui abbiamo preso in considerazione le resistenze al nostro modello che provengono dall'interno dello Stato che lo applica, ma in realtà i pericoli maggiori potrebbero giungere dall'esterno, da parte di altri Stati che preferiscono evitare - per interessi economici e politici - la diffusione nel mondo di un modello di democrazia differente da quella rappresentativa per non correre il rischio che esso venga applicato anche al loro interno danneggiando così i gruppi d'interesse e di potere in essi residenti. Gli altri Stati potrebbero cercare di interferire, se non addirittura di boicottare i paesi in cui venisse decisa l'applicazione del nostro modello completo di democrazia diretta. Per questa ragione riteniamo opportuno che il nostro modello non venga applicato ad un singolo Stato - a meno che non si tratti di una grande potenza - che rimarrebbe inevitabilmente isolato all'interno del sistema mondiale, ma che invece coinvolga un sistema di Stati federati sufficientemente forte - economicamente, culturalmente, politicamente e militarmente - e autosufficiente da essere immune dalle pressioni economiche e politiche degli altri Stati.

Il sistema di Stati federati al cui interno venisse applicato il modello completo di democrazia diretta, potrebbero e dovrebbero svolgere un lavoro di propaganda all'estero al fine di portare alla conoscenza del maggior numero di cittadini del mondo i vantaggi della democrazia diretta, stimolandone così la diffusione anche in altri paesi, rendendo quindi più uniforme il sistema mondiale, e, naturalmente, rafforzando la posizione di chi ha già fatto questa scelta. Molto probabilmente si avrebbe nel corso di qualche decennio una diffusione globale del nostro modello che consentirebbe uno sviluppo e una crescita più civile ed armonica in tutte le parti del mondo che decideranno di adottarlo.

11.1.3 - Le religioni

Durkheim diceva:

"[...] gli interessi religiosi sono soltanto la forma simbolica degli interessi sociali e morali."

Non mi sento di condividere pienamente questa frase, ma sicuramente essa contiene al suo interno delle verità profonde. Le religioni non possono certo dare risposte scientifiche alle domande che l'uomo le pone, ma soltanto risposte basate sulla fede, e proprio la fede, se e quando c'é, ci induce a ritenere sacre e spesso indiscutibili le regole e i principi morali che la religione da noi scelta ci impone. Purtroppo però alcune delle principali religioni che sono oggi presenti nel mondo hanno spesso dimostrato di avere sviluppato una serie di interessi tutt'altro che trascendentali, divini o spirituali, legati piuttosto ad aspetti più materiali e terreni, corrompendo e addirittura, in alcuni casi, contraddicendo i prìncipi sacri su cui esse si fondavano all'origine. Il fatto che le varie religioni, istituzionalizzandosi, abbiano sviluppato una serie di interessi economici e politici, legando a volte la loro sorte a quella degli Stati in cui erano presenti in modo rilevante, potrebbe costituire un problema anche per chi volesse mutare profondamente lo status-quo. Si tratta di un problema che avevo individuato ed evidenziato già nel 1992:

"Attenzione [...] alle Chiese, a volte troppo vicine a interessi tutt'altro che spirituali e religiosi, anzi, più che altro politici e economici, o molto più semplicemente vittime di errori umani, anche se fatti in buona fede, poichè potrebbero anch'esse costituire un ostacolo alla crescita della Democrazia Diretta."

Tutti questi legami poco spirituali delle religioni con gli stati moderni le può a volte indurre a formulare delle nuove regole che si adattano perfettamente alle esigenze degli Stati nazionali, ma che possono anche contraddire alcuni valori religiosi che fino a quel momento erano stati considerati fondamentali e sacri. Un esempio abbastanza recente in tal senso lo abbiamo avuto nel 1992, quando si è appreso - tramite i giornali italiani - che la Chiesa Cattolica aveva istituito un nuovo catechismo in cui venivano ribaltate alcune delle regole che costituivano la base di questa religione. Le nuove regole, da un lato introducevano una serie di nuovi peccati gravi, come: prendere tangenti, trafficare droga, falsificare fatture, non pagare le tasse, corrompere e molti altri ancora. Dall'altro lato affermavano che non era più un peccato: la pena di morte, purché decretata dagli Stati; fare una guerra giusta, cioè solo per difesa; e, infine, uccidere per legittima difesa. Le prime - i nuovi peccati - appaiono troppo simili a un codice civile di leggi, mentre le seconde - ciò che non é più peccato - si scontrano frontalmente con quella che é stata la morale pacifista della Chiesa fino a quel momento: alcune, infatti, cozzano contro il peccato mortale che stabilisce tassativamente di "non uccidere"; altre, invece, con la nota massima che invita a "porgere l'altra guancia".

Mutare alcune regole di una religione, soprattutto se questo intacca alcuni suoi prìncipi fondamentali, comporta il rischio di delegittimare la sacralità attribuita normalmente a tutte le altre sue norme, con una conseguente perdita di fede da parte di molti suoi credenti. E' un ulteriore passo verso un processo di secolarizzazione già in atto da tempo e che costituisce un forte timore per molte grandi religioni presenti nei paesi occidentali, dove appunto questo processo è in una fase più avanzata. Le cause di questa tendenza sono molteplici e non è certo questa la sede più appropriata per analizzarle a fondo, ci limiteremo a ribadire che in parte le responsabilità ricadono sugli sviluppi cognitivi, filosofici e sociali delle società moderne; e in parte sulle stesse grandi religioni che si trovano a un bivio decisivo: devono cioè scegliere se conservare la sacralità delle loro regole data dall'immutabilità nel tempo, rischiando che molte di esse diventino inadeguate al contesto storico-sociale e quindi sempre meno rispettate e tenute in considerazione; oppure cercare di adattarle alla modernità, rischiando tuttavia di snaturare l'essenza della religione stessa. La tensione che una simile scelta crea all'interno delle Chiese istituzionalizzate, assieme all'ansia provocata dal continuo progredire del processo di secolarizzazione, possono indurle a un atteggiamento di iniziale rigetto e resistenza nei confronti di qualsiasi cambiamento drastico che potrebbe avvenire nella società.

Le esperienze del passato hanno lasciato dei segni indelebili, e le Chiese potrebbero per questa ragione mostrarsi restie ad accettare la legittimità di una proposta così rivoluzionaria come quella presente all'interno del nostro modello completo di democrazia diretta. Il loro timore potrebbe anche non essere del tutto ingiustificato, poichè in una società nella quale venisse applicata la democrazia diretta i suoi membri si abituerebbero a partecipare attivamente alle decisioni da prendere, a fare delle scelte, ma soprattutto a pensare autonomamente e in modo critico per essere poi in grado di valutare le diverse opzioni. Un cittadino che acquista gradualmente queste capacità, che altro non sono se non capacità intellettuali, potrebbe essere assai difficile da coinvolgere in un sistema di credenze religiose da sempre abituato a far "scendere dall'alto" le sue norme e a imporle ai fedeli che sono tenuti ad accettarle acriticamente o fondando le ragioni di tali regole su una serie di scritture considerate sacre poichè ispirate dal divino. L'abitudine a pensare e a valutare il significato profondo di ogni regola, le ragioni della sua esistenza - sia teologiche che materialistiche - e quelle della sua permanenza, impedirebbero di subirle acriticamente come invece è accaduto fino a qualche decennio fa, magari spingendo i fedeli all'obbedienza - considerata da sempre uno dei valori fondamentali - dietro la minaccia della perdita dell'accesso al "regno dei cieli" o di sanzioni molto più tangibili e violente come quelle utilizzate al tempo dell'inquisizione.

Il "terrore divino", la strategia della condanna o della punizione divina hanno sempre funzionato per rafforzare "la fede" - almeno nei suoi aspetti esteriori - di coloro che erano considerati "deboli di spirito". Terrore che svanirebbe nel momento in cui venissero aumentate le capacità di ragionamento razionale e non ci si lasciasse più guidare da regole che in alcuni casi di divino hanno davvero poco.

Questa è l'unica ragione che riesco ad individuare per cui una Chiesa istituzionalizzata dovrebbe sentirsi minacciata dalla nostra proposta di democrazia diretta, poichè per il resto molti dei valori fondamentali presenti nelle principali religioni sono gli stessi che vengono difesi dal nostro modello, come la libertà, l'eguaglianza e la giustizia.

Le strategie che le Chiese potrebbero mettere in atto per opporsi alle innovazioni e ai cambiamenti insiti nel nostro modello completo di democrazia diretta non sarebbero probabilmente molto diverse da quelle utilizzate in passato. Andrebbero dall'insinuazione di dubbi sulla reale realizzabilità di un simile modello, fondate soprattutto sulle critiche dei sistemi politici che nell'antichità l'avevano adottata - la democrazia classica di Atene - unite alla mancanza di esempi simili nella realtà politica presente; per giungere alle strategie di stampo tipicamente religioso che vanno dalle condanne morali e alle accuse di "ispirazione diabolica" che troverebbero sicuramente la conferma nelle Sacre Scritture.

Se da un lato questi metodi utilizzati dalle religioni possono essere assai pericolosi ed efficaci perchè colpiscono l'emotività del fedele, senza la necessità di approfondite spiegazioni razionali sulla malvagità della democrazia diretta; dall'altro possono anche risultare un'arma a doppio taglio e ferire le Chiese stesse, accelerando ulteriormente il processo di secolarizzazione. Solo un fedele fervente e acritico infatti si accontenterebbe di simili motivazioni per opporsi a un cambiamento di questo tipo; le moderne società occidentali, però, non presentano più - per fortuna - un gran numero di questo tipo di fedele, e un simile atteggiamento offrirebbe un motivo in più per aumentare il distacco e il dissenso da quella che si considera la propria religione. Un rischio che forse alle Chiese istituzionalizzate non conviene correre, vista la già forte tendenza in atto nella direzione della secolarizzazione.

Ed è proprio questa l'arma migliore per scoraggiare l'attuazione di queste eventuali resistenze da parte delle religioni: far prendere coscienza ad esse che attaccare la proposta di democrazia diretta può essere controproducente, oltre che senza una reale motivazione di carattere spirituale visto l'accordo su molti valori di fondo. Se nonostante ciò esse portassero avanti il loro attacco, allora si renderebbe necessario rispondere a tono prima di tutto ribadendo la validità del principio costituzionale per cui Chiesa e Stato sono ciascuno sovrano e indipendente nel proprio ambito e in quanto tale nessuna religione può interferire nella scelta dello Stato sui sistemi politici da utilizzare per governarsi, a meno che essi non siano in aperto contrasto con i valori fondamentali della religione, cosa che comunque non riguarda la nostra proposta di democrazia diretta.

La seconda parte della strategia di risposta alle eventuali resistenze delle Chiese consiste infatti proprio nell'affermare con forza la totale coerenza dei valori proposti e difesi attraverso l'applicazione del nostro modello completo di democrazia diretta e quelli religiosi, ponendo in evidenza che se esse continuano ad opporvisi non è certo per motivi di carattere spirituale, bensì per interessi materiali. Si può addirittura ricorrere ad attacchi personali nei confronti delle maggiori personalità religiose che insistono nei loro attacchi, accusandoli di malafede e infedeltà nei confronti delle loro religioni e del loro Dio, o, ancora, di cattiva interpretazione delle Sacre Scritture. In alcuni frangenti si può ricorrere all'accusa di fanatismo religioso ingiustificato, provocando così una ghettizzazione e una marginalizzazione che solo poche religioni desiderano avere.

Il pensiero dominante all'interno delle società moderne occidentali, fortemente secolarizzato e volto ormai più nella direzione della razionalità piuttosto che in quella del fanatismo e dell'intransigenza religiose, non possono che giocare a nostro favore e il perseverare in questi atteggiamenti da parte delle religioni non può che farle apparire sempre più inadeguate ai tempi. Il bisogno di religiosità e di credere in valori superiori, comunque sempre presente, potrebbe anche indurre a trasformare la democrazia diretta, una volta affermata, in una pseudo-religione (vedi 11.2.2), anche se noi preferiamo considerarla al massimo una filosofia di vita.

 

11.2 - Realizzazione del modello di democrazia diretta

Fino ad ora ci siamo preoccupati di individuare chi potrebbe opporsi all'applicazione del nostro modello di democrazia diretta e come agirebbe, quali strategie utilizzerebbe, al fine di impedirne la realizzazione, cercando inoltre di individuare le misure più idonee per rispondere a questi attacchi. Tutto ciò è assolutamente necessario, ma non sufficiente per chi, come noi, ha l'intenzione di giungere alla realizzazione pratica del modello completo di democrazia diretta costruito sulla carta.

Prima di tutto bisogna risolvere il dilemma se per ottenere questo risultato si debba ricorrere a una rivoluzione violenta, o se sia preferibile, e se sia possibile, giungervi attraverso delle fasi di sviluppo progressive e pacifiche. Successivamente ci si occuperà, una volta attuato il nostro modello, di come riuscire a mantenerlo in vita il più a lungo possibile.

11.2.1 - Rivoluzione o fasi di sviluppo?

Rivoluzione o fasi di sviluppo? Uso della violenza o processo progressivo e pacifico? E' dunque questo il dilemma che si deve affrontare, la cui soluzione non dipende però solo dai sostenitori del modello completo di democrazia diretta, ma anche da coloro che vi si oppongono e dai metodi che utilizzeranno a tal fine. La mia personale posizione a questo proposito non è mutata rispetto a quella espressa già nel 1992:

"E' fondamentale che il movimento per la Democrazia Diretta rimanga non violento, utilizzando manifestazioni di piazza, sit-in, catene umane, ecc., solo così il resto dell'opinione pubblica potrà convincersi della bontà di questo ideale. Non sarà facile, anche perché probabilmente la polizia e l'esercito cercheranno di provocare reazioni violente nella folla dei manifestanti, tuttavia i sostenitori della democrazia diretta, essendo preparati a questo tipo di strategia, dovranno avere la forza di resistere alla tentazione di scadere al livello dello scontro fisico, violento e sanguinoso con le forze dell'ordine."

E' stato sicuramente di estrema utilità individuare quali strategie e quali resistenze potrebbero attuare coloro che vi si oppongono, per evitare che i sostenitori del nostro modello, colti di sorpresa, potessero reagire istintivamente facendo ricorso alla violenza.

Il primo punto fondamentale che emerge chiaramente dal nostro discorso è il proposito di evitare in tutti i modi lo scontro violento e l'uso di atti terroristici sanguinosi. Se deve nascere un movimento il cui scopo fondamentale è quello di portare all'attuazione pratica il nostro modello completo di democrazia diretta, questo deve avvenire attraverso l'applicazione di una attenta e scrupolosa strategia studiata e preparata a tavolino, ma sufficientemente flessibile per venire eventualmente modificata a seconda delle risposte che il sistema darà a ogni nostra mossa.

La scelta ricade quindi sulle fasi di sviluppo, ed è una scelta che viene sostenuta sia da motivazioni etico-morali, che strategiche. Preferire un percorso che, fin quando sia possibile, eviti l'utilizzo della violenza e dello spargimento di sangue credo che trovi d'accordo tutti coloro che nella vita hanno la capacità e la volontà di agire in funzione del bene, dando sempre ascolto alla voce della propria coscienza; per altro, questo sembra essere l'unico percorso in grado di dimostrare una certa coerenza con i valori che intendiamo sostenere con l'applicazione del nostro modello completo di democrazia diretta, che non sono certamente quelli della prevaricazione sulla volontà altrui, bensì l'esatto contrario, cioè una convivenza pacifica, civile e matura fondata sull'applicazione pratica dei concetti astratti di libertà, eguaglianza e giustizia che nulla hanno a che vedere con la violenza, qualsiasi forma essa assuma.

La preferenza verso le fasi di sviluppo ha anche dei fondamenti più pragmatici: riteniamo infatti che questa sia la strategia migliore per giungere al nostro obiettivo finale, cioè l'applicazione del modello che abbiamo assemblato in questa sede. Scegliere la strada della rivoluzione violenta, infatti, costituirebbe un suicidio politico poichè difficilmente riuscirebbe nel suo scopo, le forze armate a disposizione dello Stato sono nettamente superiori a quelle di qualsiasi movimento rivoluzionario, a meno che questo non venga sostenuto da qualche paese straniero. Visti gli interessi in gioco che verrebbero colpiti dall'applicazione del nostro modello, non intravedo la possibilità, neanche remota, che qualche stato estero possa sponsorizzare la nostra rivoluzione, pertanto essa sarebbe destinata al fallimento e a provocare un inutile bagno di sangue se scegliesse la strada dello scontro frontale e violento con le istituzioni esistenti. Tra l'altro una simile scelta ci farebbe passare dalla parte del torto e perderemmo gran parte dell'appoggio popolare che avremmo a disposizione perseguendo una strategia pacifica organizzata in diverse fasi progressive di sviluppo.

Prima, però, di specificare il contenuto di queste fasi di sviluppo, occorre precisare che esse dovranno sempre tenere ben presenti alcune condizioni fondamentali che, se realizzate, potranno risultare assai utili all'attuazione del nostro modello, come pure a qualsiasi altra proposta alternativa allo status quo.

La prima condizione è quella di preparare "un terreno fertile" e pronto a ricevere "le nuove sementi" che verranno gettate in esso; uscendo fuori dalla metafora, con questa frase si intende sottolineare l'esigenza di far crescere nei cittadini la voglia di nuovo, sviluppare cioè un'attitudine positiva nei confronti dei cambiamenti, stimolando e diffondendo quella che precedentemente - grazie a Lanzara - abbiamo definito come "negative capability", cioè la capacità di pensare e immaginare il nuovo, ma prima di tutto di accettarlo senta pregiudizi.

Il secondo obiettivo da porsi - che è allo stesso tempo una condizione fondamentale per giungere alla realizzazione del nostro modello - è quello di ottenere la massima diffusione della conoscenza delle nostre proposte e, contemporaneamente, far prendere consapevolezza che esse sono soprattutto negli interessi dei comuni cittadini, e che quindi dovranno essere proprio loro, i comuni cittadini, ad attivarsi maggiormente contribuendo anche economicamente, oltre che con un aiuto fondato sulla partecipazione, alle azioni necessarie in tutte le varie fasi di sviluppo.

Scopo principale delle fasi di sviluppo sarà quindi quello di far ottenere la massima visibilità e pubblicità alle idee e alle proposte sviluppate all'interno del nostro modello completo di democrazia diretta. Esse andranno quindi sviluppate in un contesto che comprenda contemporaneamente più stati europei, oppure, meglio ancora, partendo da un loro sviluppo all'interno degli USA che, essendo considerato in molti ambiti come un paese guida per il resto del mondo, faciliterebbe la diffusione globale del nostro modello completo di democrazia diretta.

Vediamo ora nel dettaglio come si articolano le fasi progressive di sviluppo:

1 - fase di informazione sommaria:

in essa si incomincerà a sviluppare un discorso pubblico tendente a preparare il terreno all'accettazione del nostro modello. Da un lato, come accennavamo in precedenza, si cercherà di stimolare un desiderio di cambiamento, di novità; dall'altro si lasceranno intravedere i pregi degli strumenti tipici della democrazia diretta, facendo in modo che nasca in ciascuno il desiderio che il cambiamento prenda questa direzione. In questa prima fase si deve solamente preparare il terreno arando il campo e gettando qualche seme, il grosso del lavoro verrà fatto nelle fasi successive, quando si sarà constatato che il terreno è fertile. Non è quindi in questa fase che avverrà la presentazione del nostro modello completo di democrazia diretta, ma solo in un momento successivo, quando si sarà verificato che la prima fase è giunta a compimento, cioè quando vi sarà una chiara attesa di cambiamento diffusa in tutta la popolazione e un atteggiamento favorevole nei confronti degli strumenti di democrazia diretta, insieme al desiderio di una maggiore possibilità di partecipare attivamente alla vita politica del paese.

2 - richiesta dell'introduzione del referendum propositivo, se manca; e di un suo uso sempre più frequente, se già c'è:

dopo la prima fase che era volta semplicemente a preparare il terreno culturale più idoneo, in questa seconda fase si incomincia ad affrontare la questione da un punto di vista più pratico, con la richiesta esplicita di un utilizzo sempre più frequente del referendum, ma sempre e comunque per questioni di una certa rilevanza e di interesse per la popolazione, evitando così il problema di un inflazionamento del suo utilizzo e di una pubblicità negativa di questo strumento così prezioso e importante. Attraverso il suo corretto utilizzo si avrà l'opportunità di mostrare a tutti le opportunità che questo strumento offre.

3 - attacco alla rappresentanza:

è questo uno dei momenti decisivi, dopo aver preparato il terreno e fatto provare sulla pelle dei cittadini le opportunità che offre il referendum, si passerà ad attaccare la rappresentanza. Si tratterà di un attacco verbale e dialettico molto duro, durante il quale si cercherà da un lato, di esaltare i pregi del referendum, evidenziando, dall'altro, tutti gli inconvenienti e le inefficienze della rappresentanza. Giunti nel vivo del dibattito, che dovrà avere risonanza pubblica, si passerà alla fase successiva.

4 - presentazione del modello completo di democrazia diretta e sua diffusione:

una presentazione che avverrà: prima in ambito intellettuale, per tastare il terreno di quali saranno le principali obiezioni che verranno portate in seguito, avendo così il tempo sufficiente per preparare le risposte più adeguate; e poi le si darà un eco sufficiente per farla giungere in modo schematico, chiaro e positivo al grande pubblico.

5 - richiesta ufficiale di applicazione del modello e nascita del movimento politico a suo sostegno:

è in questa fase che inizia la battaglia politica vera e propria, ed è in essa che sarà necessario attivare tutti i cittadini affinché svolgano un ruolo attivo nella propaganda e diffusione delle proposte presenti nel nostro modello, spingendo perchè esso venga posto in essere. Si cercherà di mettere sotto pressione il sistema rappresentativo esistente con continue manifestazioni di piazza e con altri modi per evidenziare la volontà di cambiamento, facendo sempre la massima attenzione per rispondere in modo adeguato e non violento a tutte le provocazioni che verranno dal sistema di potere esistente. Bisognerà evitare ogni genere di compromesso e pretendere l'adozione integrale del nostro modello completo di democrazia diretta, altrimenti si rischierebbe, come abbiamo già detto in precedenza, di costruire solo una scatola vuota il cui contenuto sarebbe assai distante da quello da noi desiderato e basato su una effettiva partecipazione attiva dei cittadini in ogni ambito in cui la società moderna lo consente.

Queste fasi di sviluppo della proposta politica debbono essere affiancate o addirittura precedute dallo sviluppo intensivo delle moderne tecnologie di comunicazione interattiva, che saranno di enorme aiuto anche per la diffusione capillare delle idee e del dibattito politico stesso. Anche in questo caso si possono ipotizzare delle fasi di sviluppo tecnologico finalizzate ad ottenere una capillare diffusione delle moderne tecnologie di comunicazione multimediale e interattiva.

La prima fase consisterebbe nel mettere a punto le tecnologie necessarie - fase in parte già avvenuta -, per poi passare a una fase successiva in cui, dopo aver adeguatamente pubblicizzato i pregi del prodotto, avvenga una distribuzione sempre più di massa delle suddette tecnologie. Quando anche questa fase sarà terminata, avremo la possibilità di applicare con più facilità la sequenza delle fasi di sviluppo della diffusione del nostro modello descritte in precedenza, in quanto risulterà più difficile per qualsiasi Stato, gruppo d'interesse o di potere controllare o censurare la circolazione delle idee sulle reti telematiche.

Sulla carta sembra tutto molto facile e lineare, ma è chiaro che ciascuna delle fasi dovrà far fronte a una risposta del sistema esistente che potrebbe degenerare fino a tentativi di censura totale, di delegittimazione, di rifiuto drastico delle nostre proposte e di criminalizzazione del movimento. Sarà quindi opportuno prepararsi anche a questa evenienza predisponendo delle ulteriori fasi di risposta alle resistenze del sistema, che si svilupperanno come segue:

a - se tramite le normali fasi di sviluppo non si ottiene l'affermazione e attuazione del nostro modello, riprovare con le fasi di sviluppo, intensificando l'informazione con metodi alternativi e accentuando gli attacchi alla rappresentanza;

b - se la "a" non funziona e continuano le censure, provare ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica con continue manifestazioni pacifiche facendo attenzione a mantenerle non violente e/o con atti simbolici, magari realizzati in maniera virtuale attraverso il consenso espresso tramite internet, quando questo strumento avrà diffusione di massa, evitando così anche il rischio che il tutto degeneri in uno scontro fisico, o attraverso qualsiasi altro moderno mezzo che consenta una comunicazione interattiva di massa;

c - se "b" non funziona, continuare finché lo Stato non tenterà di reprimere con la violenza fisica le manifestazioni di piazza, e con la censura le altre, conservando la calma e approfittando dell'occasione per mettere ulteriormente in cattiva luce lo Stato rappresentativo e le sue istituzioni;

d - se lo Stato continua con la censura delle notizie e a mistificare la realtà dei fatti, si passerà a dimostrare pacificamente nelle sedi istituzionali e nelle televisioni, per ottenere il diritto di parola e la visibilità necessaria;

e - se "d" non è possibile e lo Stato fa arrestare i dimostranti, bisognerà rendere ancora più dura la battaglia:

- incominciando a organizzare un movimento rivoluzionario, per il momento ancora pacifico;

- immettendosi abusivamente sui canali informativi principali, interferendo e sostituendosi ai telegiornali;

- eventualmente occupando pacificamente una televisione o qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa abbia grande rilevanza in quel periodo, difendendo la propria posizione e, magari, impedendo la trasmissione dagli altri canali;

f - se neanche queste strategie estreme, in parte al di fuori della legalità, riescono ad ottenere il loro obiettivo, nonostante il probabile appoggio generale della popolazione, la situazione può diventare assai difficile e pericolosa. Per quanto mi riguarda, ribadisco che rimango contrario all'uso della violenza e alle "rivoluzioni classiche", ma gli eventi potrebbero degenerare e le persone divenire incontrollabili: nulla può escludere che alla fine si giunga a una rivoluzione violenta. Questa, in ogni caso, non dovrà avvenire prima che vi sia un consenso diffuso verso le nostre proposte, poichè se questo obiettivo primario non dovesse venire realizzato sarebbe meglio rinviare a tempi migliori o a luoghi diversi lo sviluppo e la realizzazione del nostro modello. Per venire realizzato, esso deve necessariamente essere legittimato da un vasto consenso popolare, altrimenti nascerebbe in contraddizione con se stesso e con la sua natura democratica.

Tutte le diverse fasi di sviluppo sono state riassunte schematicamente all'interno della tabella 11.1.

 

Tab. 11.1 Fasi di sviluppo dell'attuazione del modello completo di democrazia diretta

 

A - Fasi di sviluppo delle tecnologie necessarie:

1 - messa a punto delle tecnologie di comunicazione multimediale e interattiva necessarie al nostro modello;

2 - publicizzazione dei pregi di tali tecnologie:

3 - distribuzione sempre più estesa e di massa di tali prodotti tecnologici;

 

B - Fasi di sviluppo dell'informazione-consenso-affermazione del nostro modello:

1 - fase di informazione sommaria;

2 - richiesta dell'introduzione del referendum propositivo, se manca; e, se già c'è, di un suo uso sempre più frequente;

3 - attacco alla rappresentanza;

4 - presentazione del modello completo di democrazia diretta e sua diffusione;

5 - richiesta ufficiale di applicazione del modello e nascita del movimento politico a suo sostegno;

 

C - Fasi di risposta alle resistenze del sistema esistente:

1 - riprovare con le fasi di sviluppo:

a - intensificando l'informazione con metodi alternativi e

b - accentuando gli attacchi alla rappresentanza;

2 - se la (1) non funziona e continuano le censure, provare ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica con:

a - continue manifestazioni pacifiche facendo attenzione a mantenerle non violente e/o

b - atti simbolici, magari realizzati in maniera virtuale attraverso il consenso espresso tramite internet e le altre tecnologie di comunicazione interattive, evitando così anche il rischio che il tutto degeneri in uno scontro fisico;

3 - se (2) non funziona, continuare finché lo Stato non tenterà di reprimere con la violenza fisica le manifestazioni di piazza, e con la censura le altre, conservando la calma e approfittando dell'occasione per mettere ulteriormente in cattiva luce lo Stato rappresentativo e le sue istituzioni;

4 - se lo Stato continua con la censura delle notizie e a mistificare la realtà dei fatti, si passerà a dimostrare pacificamente nelle sedi istituzionali e nelle televisioni, per ottenere il diritto di parola e la visibilità necessaria;

5 - se (4) non è possibile e lo Stato fa arrestare i dimostranti, bisognerà rendere ancora più dura la battaglia:

a - incominciando a organizzare un movimento rivoluzionario, per il momento ancora pacifico;

b - immettendosi abusivamente sui canali informativi principali, interferendo e sostituendosi ai telegiornali;

c - eventualmente occupando pacificamente una televisione o qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa abbia grande rilevanza in quel periodo, difendendo la propria posizione e, magari, impedendo la trasmissione dagli altri canali;

6 - se neanche queste strategie estreme riescono ad ottenere il loro obiettivo, la situazione può diventare assai difficile e pericolosa. Pur essendo personalmente contrario all'uso della violenza e alle "rivoluzioni classiche", gli eventi potrebbero degenerare e le persone divenire incontrollabili: nulla può escludere che alla fine si giunga a una rivoluzione violenta. Questa, in ogni caso, non dovrà avvenire prima che vi sia un consenso diffuso verso le nostre proposte; e se questo obiettivo primario non dovesse venire realizzato sarebbe meglio rinviare a tempi migliori o a luoghi diversi lo sviluppo e la realizzazione del nostro modello.

 

11.2.2 - La nuova religione: la politica partecipativa

Se e quando il nostro modello completo di democrazia diretta dovesse trovare applicazione, così come auspichiamo, si porrà il problema di prolungarne la vita il più a lungo possibile, evitando ritorni al passato. Come svolgere questo compito?

Da un lato cercando di applicare al meglio tutte le parti del modello evitando inefficienze, dall'altro attraverso un processo di socializzazione e di educazione di lungo periodo che potrebbe far assumere alla politica partecipativa le connotazioni di una nuova religione. Parlare di religione forse è eccessivo, anche se in comune con queste potrebbe avere: dei riti, rappresentati dal momento del voto; dei luoghi di culto, cioè la società nel suo insieme; e una filosofia di base, anche se nel nostro caso ciascun cittadino le risposte dovrebbe trovarle dentro di sé e non attenderle da un'autorità superiore.

Perchè allora abbiamo parlato della politica partecipativa come di una nuova religione? La ragione di questo paragone, forse un po' blasfemo risiede nel fatto che la partecipazione pervaderebbe la vita quotidiana di ciascun individuo, e lo trasformerebbe a tal punto da renderlo profondamente diverso da quello che è oggi: un cittadino a tutti gli effetti dello Stato in cui vive, ma anche un uomo più maturo e completo a cui è stata finalmente offerta l'opportunità di avere la porzione di tempo necessario da dedicare a sé stesso, alla sua famiglia, alla cultura e alla riflessione su tutti i misteri della vita. Uno spazio necessario e sufficiente per sviluppare tutte le attitudini e capacità del nostro essere, fino ad oggi messe da parte e addormentate da un sistema politico e da una società che troppo spesso si erano attribuite il diritto di decidere e di pensare al nostro posto, al cui interno solo pochi individui con un animo artistico ed estremamente creativo erano riusciti a ricavare un loro spazio personale e a sviluppare quella parte delle qualità umane che ognuno di noi avrebbe il dovere di mettere alla prova.

Il nostro modello completo di democrazia diretta ha in sé tutto un insieme di caratteristiche in grado di modificare drasticamente la vita di ognuno, sia nei tempi che nei modi, ma soprattutto determinando un cambiamento profondo nello spirito con cui ciascuno si rapporta con gli altri e con la società in cui vive: una filosofia di vita che pervaderebbe ogni aspetto della quotidianità, così densa di significati e così alta nei suoi valori da sembrare una vera e propria religione, per la quale ogni fedele combatterebbe fino alla morte pur di affermarla.

Punti saldi di questa filosofia sono tutta una serie di concetti e di valori strettamente interrelati tra loro, al cui centro riemerge la figura dell'essere umano che grazie alla partecipazione attiva, creativa e positiva a tutte le attività che compongono la sua vita, a partire dalla politica, proseguendo con l'economia, il lavoro, il tempo libero, la cultura, la nuova educazione, riesce a ritrovare un suo spazio e la sua giusta dimensione per dare nuovo e pieno significato a valori così fondamentali come la libertà e l'uguaglianza, protetti da uno stato di diritto di cui i cittadini possono sentirsi finalmente gli artefici diretti.

Una filosofia che diventa una religione nel momento in cui questo nuovo modo di vivere la vita sviluppa in ciascun individuo la convinzione di aver riscoperto il sapore della vita stessa, del sentirsi responsabile di sé e della società in cui vive, capace di pensare e di decidere su tutte le questioni che gli si presentano, dalle più piccole e insignificanti, alle più grandi e importanti. Credere che effettivamente si è trovato un sistema giusto in cui crescere. Col passare del tempo, nonostante i problemi che inevitabilmente sorgeranno, ma che verranno risolti attraverso la discussione e il dibattito pubblico - tramite le moderne tecnologie di comunicazione multimediale e interattive - a cui prenderanno parte un numero sempre maggiore di cittadini colti, interessati e preparati, questa convinzione si rafforzerà e il nostro modello diventerà sempre più insostituibile e irrinunciabile per chi avrà provato a viverci.

Se per mantenere in vita il nostro modello il più a lungo possibile - abbiamo detto - occorre una nuova filosofia basata sulla partecipazione, è anche vero che sarà il modello stesso, una volta attuato nella pratica, a creare spontaneamente questa nuova credenza, la nuova religione: la partecipazione.

 

Home Su Diritto d'Autore Contatti Links

Luca Gandolfi - Dottore in Scienze Politiche

E-Mail

Cell. 347-22.10.692 - Fax (39) 02-700.371.47

COSTRUZIONE SITI WEB - WEBMASTER

E-Mail

Copyright © 2000 Luca Gandolfi - DOTTORE IN SCIENZE POLITICHE