Luca Gandolfi Dottore in Scienze Politiche
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I REFERENDUM DEL 15 GIUGNO 1997: FALLIMENTO DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA?
Il 15 giugno 1997 si sono svolti in Italia sette referendum che non sono riusciti a raggiungere il quorum del 50% degli elettori, necessario per la validità del voto espresso, rendendo quindi nulla la prova elettorale svoltasi. Un simile risultato potrebbe venire utilizzato come dimostrazione empirica della mancanza di volontà da parte dei cittadini italiani di avere un ruolo più attivo e partecipativo nella vita politica del loro paese, decretando così il fallimento della democrazia diretta. I referendum del 15 giugno sono davvero stati un fallimento per la democrazia diretta? Possono diminuire, indirettamente, il valore del nostro modello completo di democrazia diretta? Per rispondere a queste due domande è necessario affrontare la questione analizzando meglio come si sono svolte le cose in occasione di questa tornata referendaria italiana, ponendo una certa attenzione sia sul contenuto dei sette referendum proposti al giudizio dei cittadini, sia alle conseguenze che il mancato raggiungimento del quorum ha determinato. A differenza di altre occasioni in cui le questioni proposte tramite i referendum in Italia erano di chiara importanza per il futuro del paese, come i referendum che intendevano sostituire al proporzionale il maggioritario, coinvolgendo in modo diretto la sopravvivenza di molti partiti e destabilizzando la tranquillità di altri che si erano ormai abituati ai meccanismi del proporzionale; oppure altri, come quelli sulla televisione, che toccavano direttamente gli interessi del nuovo arrivato nel mondo della politica, Silvio Berlusconi, proprietario delle tre più importanti reti televisive private. In entrambi i casi, visti gli enormi interessi in gioco, il dibattito pubblico si era fatto molto acceso, aumentando anche l'interesse dei cittadini per le questioni affrontate. L'affluenza alle urne in entrambi i casi superò senza grossi problemi il quorum necessario, trascinando al seguito anche gli altri referendum che si svolgevano in contemporanea. Cosa è successo invece in occasione dei referendum del giugno '97? Le questioni affrontate non coinvolgevano direttamente gli interessi dei partiti, i quali si sono per lo più astenuti dal prendere posizione nel dibattito referendario (vedi Tab. A1.1), lasciando ad altri il compito di gestire la campagna prereferendaria.
Tab. A1.1 Le indicazioni dei partiti per il voto del 15 giugno 1997. Referendum*
* i sette referendum riguardavano rispettivamente: 1- Golden Share 2- Obiezione di coscienza 3- Cacciatori: entrare nei fondi privati 4- Carriere dei magistrati 5- Ordine dei giornalisti 6- Incarichi extragiudiziari 7- Ministero delle politiche agricole (scheda azzurra n°8) ** L.v.= libertà di voto; N.s.=non prendere la scheda Il risultato visibile è stato quello di una campagna sotto tono, che ha avuto una certa visibilità solo nell'immediata vicinanza del momento del voto, dovuta prevalentemente ad alcune trovate pittoresche di Marco Pannella, in particolare quella di comparire vestito da fantasma per accusare in modo simbolico lo Stato e le istituzioni di aver trattato i referendum come dei fantasmi, non avendo dedicato sufficiente spazio per l'informazione che li riguardava. Inoltre, in prossimità del voto, Pannella, in compagnia di Emma Bonino e di altri tre dirigenti del Comitato Promotore, ha occupato Saxa Rubra - la nuova sede della RAI - chiedendo di parlare col direttore della televisione pubblica per esprimere le sue rimostranze per il poco spazio dedicato ai referendum, protestando anche per come era stata strutturata la trasmissione "Porta a porta" di Bruno Vespa, spezzettata in sette mini-dibattiti, uno per ogni quesito:
Da più parti, inoltre, si era affermata l'intenzione di non recarsi alle urne, preferendo un week end al mare. Il risultato finale del mancato raggiungimento del quorum - la media nazionale dell'affluenza è stata del 30,1% (vedi Tab. A1.2, A1.3 e A1.4) -, non dovrebbe quindi stupire più di tanto, poiché fino a poche settimane prima del voto l'unico dibattito pubblico sui referendum era centrato, più che altro, sul fatto di doversi recare o meno a votare, piuttosto che sul contenuto specifico di ciascun quesito. Pannella non aveva tutti i torti allora ad accusare le istituzioni e le televisioni pubbliche di scarsa e di cattiva informazione.
Tab. A1.2 Referendum del 15 giugno 1997: affluenza alle urne % e risultati dei singoli referendum.
Tab. A1.3 Affluenza alle urne % ai referendum del 15 giugno 1997, regione per regione.
Tab. A1.4 Affluenza alle urne % ai referendum del 15 giugno 1997: Nord, Centro, Sud e Isole.
Ma è stato davvero un danno che i referendum non abbiano ottenuto il quorum? Rappresenta questo un fallimento della democrazia diretta e dei suoi strumenti? Certamente dispiace sempre vedere sprecato uno strumento così importante e prezioso come il referendum, ma se teniamo in considerazione che questo risultato ha riacceso un dibattito costruttivo su quello che è stato fino ad oggi il referendum in Italia e quello che potrebbe e dovrebbe diventare in un futuro immediato, allora, forse, si può sostenere che, citando una nota massima popolare, "non tutto il male viene per nuocere". Il dibattito successivo al voto si è accentrato principalmente su due generi di discorso: il primo, sviluppatosi in contemporanea con l'emergere del dato del mancato raggiungimento del quorum, che cercava di individuarne le cause principali; il secondo, che cercava di rendere costruttiva l'analisi svolta, proponendo di riformare lo strumento referendario. Le cause dell'insuccesso referendario individuate dai vari leader politici e dagli studiosi del settore sono state molteplici. C'è stato chi ha evidenziato come in questa occasione si sia verificata una eccessiva identificazione dei referendum con la persona di Pannella, facendo perdere di vista il contenuto effettivo dei quesiti referendari, come ha fatto Fabio Mussi:
In molti hanno posto il problema della confusione che spesso crea il fenomeno dei "referendum a grappolo", in questo caso aggravato dallo scarso interesse per i cittadini delle questioni affrontate; significativo a questo proposito l'intervento dell'onorevole Speroni (Lega Nord):
Anche Pannella individua una causa ben precisa per il mancato quorum, cioè la scelta di una data, il 15 giugno, troppo a ridosso del periodo estivo in cui la gente preferisce disertare le urne e andarsene al mare. Scelta che, per altro, l'eccentrico leader radicale individua come niente affatto casuale, anzi, come "strumentale agli interessi del regime", a cui controbatte promettendo "presto altri 35 referendum". Il ministro degli Interni Giorgio Napolitano ha così replicato alle accuse di Pannella:
Dal canto loro, le istituzioni controbattono a questa accusa facendo notare che nelle ultime occasioni i referendum si erano svolti sempre in un periodo analogo: i referendum del '95 si erano svolti l'11 giugno, con un'affluenza del 57%. Tuttavia, una simile giustificazione ci sembra abbastanza inconsistente, poichè ci dice soltanto che non è stata l'unica volta che un referendum si è tenuto in quel periodo dell'anno e che il maggiore interesse per le altre questioni aveva consentito il raggiungimento del quorum. Considerando la vivacità del dibattito che si era tenuto allora, dell'enorme bombardamento di informazioni che si erano fornite e dell'importanza delle questioni, il 57% è comunque da considerarsi un'affluenza scarsa, tale da poter far ritenere che già in quell'occasione la scelta di una simile data poteva essere considerato come un tentativo di impedire il raggiungimento del quorum. Obiettivo fallito allora, anche se di poco, ma raggiunto nei referendum del '97. Rimane comunque l'impressione che in Italia si voglia rendere la vita difficile allo strumento del referendum, limitandone l'utilizzo alla sola abrogazione di leggi esistenti, complicando fino all'inverosimile le procedure per giungervi e scegliendo i periodi oggettivamente meno opportuni per il loro svolgimento. Tutto ciò non impedisce certo la riuscita di qualsiasi referendum che abbia effettivamente una certa rilevanza per il paese e riscuota l'interesse dei cittadini, ma sicuramente rappresenta un ostacolo assai duro da superare quando le questioni affrontate non fanno già parte dei discorsi politici della gente comune. E' comunque difficile stabilire fino a che punto la responsabilità debba ricadere sulla scelta di un questito "poco interessante", o sulle istituzioni, sui partiti e sui massmedia quando impostano una campagna informativa e un dibattito notevolmente meno vivace dei precedenti, quasi soporifero. La nostra impressione è, infatti, che non è vero che le questioni affrontate dai referendum del 15 giugno non fossero importanti, casomai troppo tecniche e specifiche, e si sono trovate spiazzate da un'informazione deficitaria e sicuramente incapace di fornire ai cittadini gli elementi necessari per una valutazione autonoma. Questioni come "l'abolizione dell'ordine dei giornalisti" o "la separazione della carriera dei magistrati" andavano analizzate più in profondità, facendo emergere i pro e i contro di entrambe le scelte. I commenti dei partiti (vedi Tab. A1.5) si sono quasi immediatamente rivolti nella direzione di una proposta di riforma dell'istituto del referendum, con una rapidità tale da far quasi sorgere il sospetto che essi desiderassero un simile risultato per avere la giustificazione necessaria alla sua riforma.
Tab. A1.5 I commenti e le proposte dei partiti dopo i referendum del 15 giugno 1997.
Maggioranza e opposizione in questo caso sono sembrate in accordo, così come emerge da alcune dichiarazioni pubbliche fatte dai loro leaders nei giorni immediatamente successivi all'appuntamento referendario: Walter Veltroni (PDS):
Fausto Bertinotti (Rifondazione Comunista):
Gianfranco Fini (Alleanza Nazionale):
Quella del referendum propositivo è una proposta condivisa anche da esponenti di spicco del PDS come Pietro Folena. Silvio Berlusconi (Forza Italia):
A queste dichiarazioni si aggiungono quelle di altri esponenti dei principali partiti come Martino e Pecoraro Scanio, o quelle dell'ex presidente della Corte Costituzionale ed ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, volte all'abolizione del quorum: Pecoraro Scanio:
Giovanni Conso:
Un altro ex presidente della Corte Costituzionale, Mauro Ferri, si oppone invece con forza all'ipotesi di abolire il quorum del 50%:
Tuttavia, nonostante questa giusta opposizione all'abolizione del quorum, è anch'egli favorevole ad altre modifiche sostanziali dell'istituto referendario in Italia, come: la possibilità di anticipare il giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale, "[...] potrebbe aversi dopo che sono state raccolte 50-100 mila firme"; l'innalzamento del numero delle firme necessarie per richiedere un referendum, "[...] quando si fissò questa soglia a 500 mila, il Paese aveva meno abitanti, un numero maggiore di minorenni e l'età per il voto era fissata a 21 anni"; e la possibilità di introdurre anche in Italia il referendum propositivo, specificando che "[...] bisogna prevedere in questo caso una regolamentazione che impedisca il proliferare delle richieste referendarie". In seguito a questo dibattito assai costruttivo, la Bicamerale ha dato delle indicazioni ben precise, che se verranno poi approvate dal Parlamento modificheranno profondamente il referendum in Italia. Questi i punti principali: - per promuovere il referendum abrogativo saranno necessarie 800 mila firme, o la richiesta di 5 Consigli regionali; - la Consulta si pronuncerà sulla costituzionalità dei quesiti dopo la raccolta di 100.000 firme; - si elimina il divieto di referendum abrogativo per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali; - con legge ordinaria si fisserà il numero massimo possibile di referendum per ogni tornata di consultazione; - non saranno ammessi referendum di abrogazione parziale di una legge quando ciò renderebbe impossibile l'applicazione della parte restante o le darebbe un risultato incostituzionale; - si introduce il referendum propositivo per deliberare l'approvazione di una legge di iniziativa popolare sottoscritta da almeno 800.000 persone, sulla quale il Parlamento non si sia pronunciato entro 18 mesi dalla presentazione; - il referendum continuerà ad essere ritenuto valido solo quando alla consultazione avrà partecipato la maggioranza degli aventi diritto, confermato quindi il quorum del 50% più uno. Certamente il verdetto della Bicamerale non è definitivo e attende la conferma da parte del Parlamento. Tuttavia i passi intrapresi e le numerose dichiarazioni d'intenti fatte da più parti lasciano ben sperare perchè si giunga fino in fondo al percorso legislativo e si realizzino così tutte le proposte formulate e approvate nella Bicamerale. Se così fosse, il mancato raggiungimento del quorum nei referendum del 15 giugno 1997 avrebbe ottenuto dei risultati molto più importanti - almeno dal nostro punto di vista - di quelli che si prefiggeva con i quesiti che poneva. Non si può quindi parlare di fallimento della democrazia diretta, bensì di una sua prima vittoria. Tuttalpiù si potrà sostenere che un suo strumento non è stato utilizzato al meglio e per questa ragione non ha potuto svolgere il suo compito istituzionale. In ogni caso, le riforme proposte dalla Bicamerale, stimolate dal fallito raggiungimento del quorum nei referendum del 15 giugno 1997, rappresentano un importantissimo passo in avanti nella direzione della democrazia diretta, un passo indispensabile per porre le basi all'applicazione futura del nostro modello completo di democrazia diretta. Una prima vittoria della democrazia diretta che, paradossalmente, per avvenire ha avuto bisogno di una sconfitta traumatica nell'operato del suo principale strumento: il referendum. Non vorremmo cantare vittoria troppo presto, le indicazioni della Bicamerale devono attendere l'approvazione del Parlamento prima di poter diventare legge dello Stato, ma almeno si è incominciato a discutere di referendum e di democrazia diretta formulando alcune proposte di riforma sostanziale di questo istituto, e questo non è poco, anche se molti altri passi importanti devono ancora essere fatti. |
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